Dopo l'Estetica - Università di Palermo
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carattere rigorosamente esclusivo è nella cosa stessa, in quanto, come<br />
si è visto, ne va della decisione sulla <strong>di</strong>fferenza ontologica delle opere<br />
d’arte rispetto agli oggetti comuni che ne sarebbero in<strong>di</strong>scernibili. È<br />
per il suo carattere esclusivo, in altri termini, che la definizione <strong>di</strong><br />
Danto è davvero tale: l’enunciazione delle con<strong>di</strong>zioni necessarie e sufficienti<br />
affinché si possa <strong>di</strong>re <strong>di</strong> due oggetti in<strong>di</strong>scernibili che uno è<br />
un’opera d’arte e l’altro no.<br />
Di queste con<strong>di</strong>zioni si è già visto che si tratta <strong>di</strong> proprietà <strong>di</strong> carattere<br />
intellettuale le quali richiedono un sapere preliminare. Si dovrà<br />
aggiungere, ora, che il “mondo dell’arte” circoscrive l’ambito <strong>di</strong> quegli<br />
oggetti <strong>di</strong> cui si sappia che la loro natura è intenzionalmente relazionale<br />
(che essi sono a-proposito-<strong>di</strong> qualcos’altro) e che pertanto essi<br />
postulano, coessenzialmente, un’interpretazione conforme all’intenzionalità<br />
rappresentativa <strong>di</strong> cui sono stati resi portatori, ovvero – secondo<br />
una più recente e sintetica formulazione dell’autore – l’assunzione dei<br />
“significati” che essi “incorporano”. Si potrebbe osservare (e lo stesso<br />
Danto vi accenna) che il concetto <strong>di</strong> “significato incorporato” è piuttosto<br />
vicino (ma non identico, tuttavia) a quanto intendeva <strong>di</strong>re Kant<br />
quando parlava <strong>di</strong> “idee estetiche” – che non sono, appunto, “significati”,<br />
ma indeterminate configurazioni <strong>di</strong> senso incorporate nell’opera<br />
e solo parzialmente traducibili in enunciati espliciti 25 . Tornerò più<br />
avanti su questa convergenza, per mostrarne un limite insuperabile. Il<br />
punto che desidero evidenziare, per il momento, è che l’intero apparato<br />
definitorio <strong>di</strong> Danto appare strettamente tributario nei confronti <strong>di</strong><br />
un’istanza autoriflessiva che egli naturalmente riconosce, senza tuttavia<br />
attribuirle, se non in modo rapso<strong>di</strong>co, l’importanza e la centralità che<br />
riveste. Danto infatti osserva spesso che l’essere-a-proposito-<strong>di</strong> delle<br />
opere d’arte riguarda, riflessivamente, l’arte stessa. E in un passaggio,<br />
che abbiamo citato, si spinge fino a parlare, per questa peculiare autoriflessività,<br />
<strong>di</strong> “autoriferimento” 26 . Ma egli non esamina, per quanto<br />
ne so, la possibilità che questi tre termini – riflessività, autoriflessività,<br />
autoreferenzialità – non solo non siano equivalenti ma presuppongano<br />
procedure simboliche che potrebbero prospettare esiti ad<strong>di</strong>rittura<br />
opposti.<br />
La questione è piuttosto complessa. Proverò comunque a presentarla<br />
nei suoi aspetti fondamentali 27 . Il tema della riflessività è opportunamente<br />
ricondotto da Danto alla filosofia <strong>di</strong> Hegel e al suo pensiero<br />
sul destino storico dell’arte nel momento in cui viene meno la sua<br />
funzione <strong>di</strong> manifestare sensibilmente i più alti valori spirituali <strong>di</strong> una<br />
comunità. Come ho già detto, Danto assume il pensiero <strong>di</strong> Hegel in<br />
modo del tutto formale. Non gli interessa affatto, cioè, che l’arte sia<br />
stata pensata da Hegel come una figura della “fenomenologia dello<br />
spirito” (quanto <strong>di</strong>re che non gli interessa la motivazione stessa per la<br />
quale l’arte è, per Hegel, qualcosa che deve essere pensato), limitandosi<br />
a con<strong>di</strong>videre con Hegel la constatazione che l’arte moderna comporta<br />
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