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Dopo l'Estetica - Università di Palermo

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municazione contano essenzialmente come pubblicità. Se dunque la<br />

risoluzione dell’estetica nell’ermeneutica avveniva in Gadamer sotto il<br />

segno <strong>di</strong> un estetismo alla Stefan George (più accomodante, comunque,<br />

rispetto al rifiuto e alla negatività dell’arte <strong>di</strong> marca adorniana)<br />

la versione italiana, rappresentata soprattutto da Vattimo, era quella<br />

<strong>di</strong> un’arte come cor<strong>di</strong>ale ornamento <strong>di</strong> una vita in cui la <strong>di</strong>fferenza<br />

tra verità e finzione era venuta meno. Quali che fossero le versioni,<br />

parlare dei sensi davvero non aveva senso. Da una parte, si credeva<br />

che i sensi fossero dominio della scienza (e qui si confondeva il realismo<br />

con l’empirismo, e l’empirismo con lo scientismo). Dall’altra, si<br />

pensava che, se il mondo vero è <strong>di</strong>ventato una favola e tra finzione e<br />

realtà non c’è <strong>di</strong>fferenza, allora davvero non c’è <strong>di</strong>fferenza tra avere<br />

sensazioni, parlare <strong>di</strong> sensazioni, pensare <strong>di</strong> avere sensazioni, credere<br />

<strong>di</strong> avere sensazioni. Quello che c’è non conta, contano solo gli schemi<br />

concettuali, linguistici, manipolativi con cui ci rapportiamo a esso.<br />

Questo atteggiamento aveva due cause fondamentali. Anzitutto,<br />

una profonda sfiducia nei confronti della filosofia, che si pensava non<br />

avesse più alcun futuro (non si faceva che parlare <strong>di</strong> “morte della filosofia”),<br />

dunque neanche alcuna pretesa <strong>di</strong> realtà, finita tutta in mano<br />

alla scienza. Sicché i peggiori scientisti erano proprio quelli che ritenevano<br />

che la filosofia detenesse una qualche verità alternativa. Poi, c’era<br />

l’idea che l’ad<strong>di</strong>o alla verità e alla realtà avesse una specifica portata<br />

emancipativa, fosse una specie <strong>di</strong> rivolta anarchica nei confronti dell’universo<br />

amministrato.<br />

Populismo<br />

Se Adorno aveva visto nei me<strong>di</strong>a il male, per via del loro potere<br />

<strong>di</strong> mistificazione, i postmoderni, interpretando la mistificazione come<br />

emancipazione dal peso del reale, ci vedevano il bene. Alla fine, per<br />

quanto Adorno sia stato troppo severo sul secolo dei me<strong>di</strong>a, e troppo<br />

ingiusto coi suoi utenti, bisogna riconoscere che aveva ragione lui.<br />

Non solo, sotto il profilo <strong>di</strong>sciplinare, l’assunto che l’estetica si dovesse<br />

risolvere nell’ermeneutica ha provocato un pulviscolo <strong>di</strong> cultural<br />

stu<strong>di</strong>es. Ma quel che più conta, sotto il profilo politico, ha fornito un<br />

mici<strong>di</strong>ale avallo teorico al populismo me<strong>di</strong>atico e all’asserita e praticata<br />

in<strong>di</strong>stinzione tra realtà e finzione che, dai seminari universitari, si è<br />

trasferita nei telegiornali. Questo avallo dei dotti poco importava ai<br />

populisti e ai loro giornalisti, ma ha tolto ai dotti persino la possibilità<br />

<strong>di</strong> protestare.<br />

Comunque, il mio <strong>di</strong>stacco dall’ermeneutica è stato dettato da motivi<br />

molto più politici e morali che strettamente teoretici. Dal punto <strong>di</strong><br />

vista teorico, l’ermeneutica era poco interessante, visto che <strong>di</strong>ceva sempre<br />

e soltanto una cosa, e cioè che non ci sono fatti, solo interpretazioni.<br />

Però uno poteva convincersi che fosse la cosa giusta da <strong>di</strong>re, che le<br />

cose stessero proprio così, per paradossale che possa essere sostenere<br />

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