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Dopo l'Estetica - Università di Palermo

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320-28). Anche quest’ultimo esempio in<strong>di</strong>ca come Elster pre<strong>di</strong>liga un<br />

preciso gruppo <strong>di</strong> arti. Nella sua analisi assumono funzione para<strong>di</strong>gmatica<br />

musica, letteratura e cinema, ossia tutte arti “allografiche”, a<br />

istanziazioni multiple, e «temporalmente estese» (UL, 303). Si tratta<br />

<strong>di</strong> arti in cui è fortemente problematica la questione dell’identità data<br />

la <strong>di</strong>versità delle occorrenze delle opere che vi si riconducono. Altro<br />

problema, però, che viene curiosamente ignorato.<br />

5. Le conseguenze <strong>di</strong> questa noncuranza sono estreme nell’analisi<br />

della creatività nel jazz, a cui è de<strong>di</strong>cato un ampio paragrafo (UL, 346-<br />

68). Riferendosi prevalentemente al periodo compreso tra il 1936 e il<br />

1942, Elster descrive la musica jazz come produzione <strong>di</strong> opere creative<br />

connotate da due variabili <strong>di</strong>pendenti: profon<strong>di</strong>tà emotiva (componente<br />

«romantica») e gusto (componente «razionalistica») (UL, 351). Con<br />

profon<strong>di</strong>tà emotiva egli intende la capacità <strong>di</strong> suscitare nell’ascoltatore<br />

emozioni non estetiche intense (UL, 349), mentre con gusto intende<br />

– in maniera assai scolastica, in verità – il senso dell’or<strong>di</strong>ne, dell’equilibrio,<br />

della proporzione e del tempo (UL, 348), ossia la sensibilità a<br />

vincoli che provocano emozioni propriamente estetiche, le quali risultano<br />

pertanto quanto mai formalisticamente determinate. A partire da<br />

qui i brani jazz vengono concepiti come «opere letterarie formali», costituite<br />

esclusivamente dalla loro compaginazione sintattica (UL, 355),<br />

tanto da considerare un assolo alla stregua <strong>di</strong> una «storia narrata» 8 :<br />

«per quanto un assolo sia “meno” che una narrazione verbale, mancando<br />

esso <strong>di</strong> qualsiasi specifico oggetto [!], è tuttavia anche “<strong>di</strong> più”,<br />

poiché esso può esaltare le frasi e i passaggi che costituiscono una<br />

storia con il ritmo e la tessitura del suono. La fusione <strong>di</strong> astrattezza e<br />

concretezza che ne risulta è una delle caratteristiche più affascinanti<br />

del jazz» (UL, 356).<br />

Orientato a risolvere l’opera d’arte, anche jazzistica, nelle sue sole<br />

proprietà formali (e, relativamente al raccontare una storia, sintattiche),<br />

Elster esamina anche il caso in cui un assolo viene progressivamente<br />

elaborato nel corso <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse esecuzioni. Al riguardo sottolinea come<br />

gli interventi che si susseguono da parte del medesimo musicista mirino<br />

a stabilire la forma sempre “più esatta” dell’assolo, ossia la massimizzazione<br />

locale del suo valore estetico, con la combinazione della<br />

componente emotiva non-estetica e della componente emotiva estetica,<br />

ossia <strong>di</strong> mera emotività profonda e <strong>di</strong> strutture razionali <strong>di</strong> gusto che<br />

innescano emozioni formali propriamente estetiche. Per esprimere questo<br />

processo <strong>di</strong> accumulo e se<strong>di</strong>mentazione verso un esito formalmente<br />

compiuto Elster si serve della metafora della scultura: «un assolo<br />

lo si può anche “scolpire” – lo si può sviluppare e perfezionare <strong>di</strong><br />

molte esecuzioni finché non raggiunge un massimo locale. L’esecutore<br />

adotta ogni volta le improvvisazioni riuscite trasformandole in vincoli<br />

per quelle nuove, finché alla fine non resta che un margine <strong>di</strong> libertà<br />

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