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Dopo l'Estetica - Università di Palermo

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Ripensare l’aura nella modernità<br />

<strong>di</strong> Giuseppe Di Giacomo<br />

Lo sviluppo della filosofia analitica da una parte e dell’arte contemporanea<br />

dall’altra ha suscitato un considerevole movimento <strong>di</strong> riflessione<br />

sulla natura dell’opera d’arte; tale riflessione è stata accompagnata<br />

dalla consapevolezza che, negli ultimi trent’anni, l’arte ha subito una<br />

molteplicità <strong>di</strong> cambiamenti. Dal dopoguerra a oggi, infatti, si è assistito<br />

a una sempre più forte intensificazione dell’assimilazione e omogeneizzazione<br />

dell’arte nell’industria culturale e nello spettacolo. Di qui<br />

la necessità <strong>di</strong> chiedersi dove vadano oggi le pratiche artistiche, se esistano<br />

ancora spazi al <strong>di</strong> fuori dell’attuale processo <strong>di</strong> omogeneizzazione,<br />

o se dobbiamo piuttosto riconoscere che in genere gli stessi artisti<br />

non si vogliono porre al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> questo processo, dal momento che<br />

è molto incerto che possano sopravvivere eventuali forme d’arte a esso<br />

esterne. È infatti indubbio che, se alla fine degli anni Sessanta e ancora<br />

negli anni Settanta, alcune neo-avanguar<strong>di</strong>e mantenevano una qualche<br />

carica utopica, legata alla volontà <strong>di</strong> tenere ferma l’autonomia estetica,<br />

vale a <strong>di</strong>re la <strong>di</strong>stinzione tra arte e realtà, dagli anni Ottanta in poi, la<br />

produzione artistica appare ormai pienamente integrata nell’industria<br />

culturale, dove invece quella stessa <strong>di</strong>stinzione viene annullata e dove,<br />

<strong>di</strong> conseguenza, sempre più l’arte è valutata come merce.<br />

Nella Dialettica dell’illuminismo (1947), Max Horkheimer e Theodor<br />

W. Adorno affermano che l’identità borghese ha implicato proprio<br />

l’autonomia estetica e, quin<strong>di</strong>, la <strong>di</strong>mensione del piacere senza interesse.<br />

È quanto mostra la figura <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo e, in particolare, l’episo<strong>di</strong>o<br />

delle Sirene, nel quale la bellezza del canto, intesa come promessa<br />

<strong>di</strong> felicità, rappresenta la <strong>di</strong>mensione utopica dell’arte, vale a <strong>di</strong>re la<br />

sua capacità <strong>di</strong> trasformare l’esistente. Perduta con O<strong>di</strong>sseo, e dunque<br />

con la modernità, tale <strong>di</strong>mensione utopica, che implicava la stretta<br />

connessione <strong>di</strong> arte e vita, l’arte stessa si riduce a una <strong>di</strong>mensione puramente<br />

contemplativa, con la conseguenza <strong>di</strong> fare dell’esistente l’unica<br />

e intrascen<strong>di</strong>bile realtà. Il risultato è che l’arte tende a fare sempre più<br />

tutt’uno con lo spettacolo: si tratta <strong>di</strong> quella industria culturale, teorizzata<br />

dallo stesso Adorno, e <strong>di</strong> quella società che Guy Debord definirà<br />

appunto dello spettacolo (1967), che daranno luogo a un realismo in<br />

arte caratterizzato, paradossalmente, dalla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> ogni riferimento<br />

critico alla realtà. Del resto, ogni tentativo <strong>di</strong> trasformare l’autonomia<br />

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