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Dopo l'Estetica - Università di Palermo

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invocato un principio surrettiziamente hegeliano: poiché i contenuti<br />

cognitivi e percettivi hanno veicoli appropriati, ossia l’argomentazione<br />

logica e l’esposizione dei fatti, a cui l’arte è per principio estranea (cfr.<br />

UL, 290), la qualità emotiva va considerata assiomaticamente l’aspetto<br />

<strong>di</strong>scriminate del valore estetico dell’opera d’arte (UL, 295). Ne deriva<br />

un’estetica largamente emotivista, malgrado le premesse sembrassero<br />

orientare Elster verso l’accentuazione dei fattori razionali dell’arte.<br />

Ulteriore conseguenza è che l’analisi del valore estetico si tramuta<br />

per buona parte in un’analisi delle emozioni, al cui interno Elster effettua<br />

nuove <strong>di</strong>stinzioni tra quelle non-estetiche (gioia, dolore ecc.) e<br />

quelle propriamente estetiche in quanto suscitate dai vincoli dotati in<br />

grado elevato <strong>di</strong> potenziale estetico intrinseco, ossia ritmo, simmetria,<br />

ripetizione, contrasti, reiterazioni… (UL, 291). Questi fattori razionali,<br />

per <strong>di</strong> più né <strong>di</strong>scussi né giustificati criticamente, vengono dunque<br />

ridotti a meri meccanismi <strong>di</strong> innesco <strong>di</strong> stati emotivi che si presumono<br />

propriamente estetici, lasciando peraltro indeterminatamente presupposta<br />

la stessa caratterizzazione estetica, che si basa sulla i<strong>di</strong>osincratica<br />

pre<strong>di</strong>lezione <strong>di</strong> alcune proprietà, anzitutto quelle della “forma organizzata”,<br />

in realtà <strong>di</strong>fficilmente generalizzabili: «poiché danno luogo a<br />

una forma organizzata, il ritmo e il metro posseggono un potenziale<br />

estetico intrinseco; l’assenza <strong>di</strong> una certa lettera dell’alfabeto no» (UL,<br />

296). È in conformità a questo criterio riduzionistico che altrove Elster<br />

parla anche <strong>di</strong> «giusta unità» (UL, 298).<br />

Punto <strong>di</strong> coagulo <strong>di</strong> questa analisi, la creatività designa la capacità<br />

<strong>di</strong> riuscire nello sforzo <strong>di</strong> massimizzare il valore estetico sotto vincoli<br />

(cfr. UL, 283). Così definita essa viene messa in opposizione all’autenticità,<br />

nel senso in cui ne parla Goodman in relazione alle caratteristiche<br />

percettive dell’opera (UL, 313), e all’originalità, che implica un atteggiamento<br />

<strong>di</strong> ribellione nei confronti dei vincoli, laddove la creatività<br />

ne è al contrario sollecitata. Si tratta <strong>di</strong> una definizione che ricorda da<br />

vicino la teoria istituzionale <strong>di</strong> Dickie e la teoria storico-istituzionale<br />

<strong>di</strong> Levinson, secondo le quali, affinché vi sia una rivoluzione artistica,<br />

occorre comunque che qualche elemento resti con<strong>di</strong>viso 7 . Si potrebbe<br />

dunque assimilare a un meccanismo istituzionale il principio <strong>di</strong> Elster<br />

secondo cui la violazione delle convenzioni, per essere proficua, deve<br />

obbe<strong>di</strong>re a certe regole (UL, 376). Ed è su queste basi che Elster sottolinea<br />

la produttività <strong>di</strong> limitazioni che non vengono recepite come<br />

semplici ostacoli che deprimono le doti creative, ma come sfide che<br />

le accrescono (UL, 326), una <strong>di</strong>stinzione che corre carsicamente per<br />

tutto il volume.<br />

Per esemplificare la produttività delle sfide Elster ricorda il ruolo<br />

che ha avuto la censura nel promuovere la creatività nella cinematografia,<br />

indugiando su un sistema censorio (il “co<strong>di</strong>ce Hays”, assillo <strong>di</strong><br />

Hollywood a partire dal 1934) che costringe l’artista a stratagemmi<br />

d’aggiramento che si traducono in soluzioni stilistiche raffinate (UL,<br />

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