Dopo l'Estetica - Università di Palermo
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poi reintroduce una nozione come quella <strong>di</strong> stile, che non ha senso se<br />
non sulla base <strong>di</strong> considerazioni estetiche (e cioè, nella accezione che<br />
siamo venuti sviluppando, anche valutative) 23 .<br />
Le determinazioni dell’esperienza estetica che abbiamo proposto<br />
possono parere ancora povere, e per <strong>di</strong> più sono suscettibili <strong>di</strong> entrare<br />
in conflitto tra <strong>di</strong> loro. Per un verso, infatti, l’esperienza estetica appare<br />
sostanzialmente coestensiva rispetto alla nostra esperienza in genere,<br />
della quale con<strong>di</strong>vide molti aspetti; per un altro, quelle stesse caratteristiche<br />
che si trovano nell’una e nell’altra esperienza appaiono nell’esperienza<br />
estetica trasposte, mo<strong>di</strong>ficate, tanto che si può persino dubitare<br />
che si tratti dello stesso or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> fenomeni. L’esperienza estetica appare<br />
vicina alle esperienze conoscitive, ma al tempo stesso non sembra che<br />
in essa si acquisisca vera conoscenza; appare fortemente connotata in<br />
senso emotivo, ma non sembra che in essa si provino sentimenti “veri”,<br />
autentici, come quelli che proviamo nella vita quoti<strong>di</strong>ana.<br />
Piuttosto che insistere su questo presunto contrasto, però, la cosa<br />
giusta da fare è precisamente tenere assieme queste due determinazioni.<br />
Se lo facciamo, possiamo arrivare a vedere che l’esperienza estetica è<br />
una sorta <strong>di</strong> reduplicazione, <strong>di</strong> raddoppiamento dell’esperienza che solitamente<br />
compiamo, e che in questa duplicazione i caratteri dell’esperienza<br />
vengono al tempo stesso attenuati ed intensificati. Attenuati, in<br />
quanto l’esperienza estetica si stacca dagli scopi imme<strong>di</strong>ati, sembra darsi<br />
“gratuitamente”, in assenza <strong>di</strong> fini identificabili da perseguire; intensificata,<br />
in quanto proprio questo orientamento su se stessa fa emergere<br />
con particolare forza la natura dell’esperienza che compiamo. L’esteticità<br />
non è fatta <strong>di</strong> una stoffa <strong>di</strong>versa dalla esperienza comune, ma è una<br />
<strong>di</strong>versa organizzazione e finalizzazione <strong>di</strong> questa esperienza.<br />
Questo bisogno <strong>di</strong> produrre una organizzazione dell’esperienza anche<br />
là dove non ce ne sarebbe a stretto rigore alcuna necessità è in<br />
effetti una delle caratteristiche salienti del comportamento umano. Si<br />
prenda per esempio il caso della decorazione. La volontà <strong>di</strong> ornare gli<br />
oggetti <strong>di</strong> uso comune, il proprio corpo e il proprio viso è un impulso<br />
che si trova pressoché in tutte le culture. Ma che cos’è l’ornamento,<br />
se non appunto la possibilità <strong>di</strong> trovare una qualche organizzazione là<br />
dove mi aspetterei <strong>di</strong> trovare una nuda superficie o la semplice naturalità?<br />
Non ornata, essa mi sembrerebbe vuota e priva <strong>di</strong> senso; organizzata<br />
da un pattern decorativo, essa assume l’aspetto <strong>di</strong> qualcosa<br />
nella quale posso ritrovarmi, perché è un’esperienza organizzata e non<br />
lasciata a se stessa. Aveva ragione Hegel quando, nelle sue Lezioni <strong>di</strong><br />
estetica, metteva in rapporto i tatuaggi, le scarificazioni, le trasformazioni<br />
anche più dolorose e apparentemente assurde inflitte al corpo nelle<br />
culture più remote con il gesto banale del ragazzino che getta pietre<br />
nell’acqua del lago o del fiume al solo scopo <strong>di</strong> bearsi guardando i<br />
cerchi concentrici che se ne <strong>di</strong>partono 24 . Nel lessico <strong>di</strong> Hegel, questo<br />
gesto stava a significare la volontà dell’essere umano <strong>di</strong> ritrovare se stes-<br />
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