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Dopo l'Estetica - Università di Palermo

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valori (estetico, d’uso, e <strong>di</strong> scambio/esponibilità) sono ora assimilati dal<br />

valore <strong>di</strong> scambio del segno 1 . In altre parole, lasciano intendere che noi<br />

desideriamo e consumiamo non tanto merce in genere, ma merci con<br />

una marca precisa, e questa passione per il segno, questo feticismo del<br />

significante, regola anche la nostra percezione dell’arte: desideriamo e<br />

consumiamo “i Koons”, non l’opera in sé, sì che, mentre questo artista<br />

aumenta <strong>di</strong> valore sul mercato, la stessa cosa succede per le merci che<br />

egli produce. Insomma, Koons porta a compimento quanto Benjamin<br />

aveva predetto: il bisogno culturale <strong>di</strong> compensare la per<strong>di</strong>ta dell’aura<br />

dell’arte con la “falsa attrattiva” della merce e del personaggio famoso;<br />

a questo proposito, il precedente è sicuramente Warhol. Così, soprattutto<br />

con Koons, l’aura perduta dell’arte viene sostituita dalla falsa aura<br />

della merce: un paradosso, visto che la merce sminuisce l’aura artistica<br />

e, nello stesso tempo, trasforma il readymade da <strong>di</strong>spositivo che demistifica<br />

l’arte a uno che la mistifica nuovamente.<br />

Se l’ere<strong>di</strong>tà minimalista della neo-avanguar<strong>di</strong>a ha portato a uno<br />

scetticismo rispetto al realismo e all’illusionismo, ra<strong>di</strong>calizzando il rifiuto<br />

dell’astrazione nei confronti della rappresentazione, oggi, in particolare,<br />

siamo testimoni <strong>di</strong> una svolta verso il reale e insieme <strong>di</strong> una<br />

svolta verso il referente. Infatti, un’altra traiettoria dell’arte a partire<br />

dal 1960 è connessa con il realismo, e quin<strong>di</strong> con l’illusionismo: in genere<br />

la Pop Art, la maggior parte dell’Iperrealismo e alcuni esempi <strong>di</strong><br />

Appropriazionismo. In particolare, l’essenza dell’ere<strong>di</strong>tà pop è costituita<br />

dal fatto che le immagini o rappresentano referenti, ossia cose reali<br />

nel mondo – in questo caso si tratta <strong>di</strong> immagini “referenziali” – o,<br />

in alternativa, rappresentano altre immagini – immagini che in questo<br />

caso definiamo invece “simulacrali”. Se pren<strong>di</strong>amo infatti in esame una<br />

produzione artistica quale quella <strong>di</strong> Warhol, in genere definita appunto<br />

simulacrale, ci accorgiamo che, se per un verso questa lettura è stata<br />

proposta da vari critici e, in particolare, da Roland Barthes 2 , per il<br />

quale l’obiettivo dell’arte pop è liberare l’immagine da ogni referenzialità,<br />

per altro verso proprio la visione referenziale della produzione<br />

<strong>di</strong> Warhol è sostenuta da critici e storici che collegano la sua opera a<br />

tematiche <strong>di</strong>fferenti: il mondo della moda, delle celebrità e così via.<br />

La versione più acuta <strong>di</strong> questa lettura referenziale è quella offerta da<br />

Thomas Crow il quale, dopo aver contestato l’interpretazione simulacrale<br />

<strong>di</strong> Warhol, trova all’interno della sua opera quella realtà della<br />

sofferenza e della morte nella quale egli identifica la <strong>di</strong>mensione critica<br />

della produzione dello stesso Warhol: non si tratterebbe, dunque, <strong>di</strong><br />

un attacco a “quella vecchia cosa chiamata arte” (come invece per<br />

Barthes), bensì dell’esibizione critica <strong>di</strong> un consumismo che si rivela<br />

compiacente persino <strong>di</strong> fronte alla “brutalità” degli incidenti e, più in<br />

generale, delle immagini <strong>di</strong> morte. Così Crow spinge Warhol verso un<br />

coinvolgimento “politico” 3 .<br />

Insomma, accanto a questa lettura <strong>di</strong> un Warhol impegnato, c’è<br />

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