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Dopo l'Estetica - Università di Palermo

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getto siano stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> altre <strong>di</strong>scipline (dalla critica d’arte alla computer<br />

science, dalla psicologia cognitiva alle neuroscienze) lasciando alla tribù<br />

<strong>di</strong> coloro che si occupano professionalmente <strong>di</strong> estetica lo stu<strong>di</strong>o della<br />

sua storia. Anche in questo caso si assisterebbe a una <strong>di</strong>ssoluzione<br />

dell’estetica, non più per estenuazione, ma per smembramento del suo<br />

nucleo tematico costitutivo in una molteplicità <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezioni, inevitabilmente<br />

poco preoccupate <strong>di</strong> una considerazione tematizzante suscettibile<br />

<strong>di</strong> uno sviluppo teorico coerente. Si tratta, per evitare questo rischio, <strong>di</strong><br />

mettere or<strong>di</strong>ne in casa propria, un or<strong>di</strong>ne sia metodologico sia concettuale<br />

(nel senso <strong>di</strong> un lavoro sui concetti costitutivi <strong>di</strong> un’estetica non<br />

<strong>di</strong>mentica del proprio nome e della propria origine): un or<strong>di</strong>ne provvisorio<br />

(non certo l’Or<strong>di</strong>ne con la maiuscola), ma tale da rende possibile<br />

e, anzi, da favorire un’operatività analitica, muovendo dai fenomeni più<br />

or<strong>di</strong>nari <strong>di</strong> impatto della questione estetica (dalle implicazioni esteticoantropologiche<br />

delle interfacce tecnologiche al nesso quanto mai attuale<br />

tra estetizzazione e politica). A questo scopo sostengo che, se non ci si<br />

vuole rassegnare ad amministrare in senso critico-storiografico il tra<strong>di</strong>zionale<br />

patrimonio filosofico della <strong>di</strong>sciplina (o almeno quello che, <strong>di</strong><br />

volta in volta, viene ritenuto tale), allora è necessario che il passo da<br />

compiere “<strong>Dopo</strong> l’estetica” (dopo il tramonto <strong>di</strong> una certa concezione<br />

e pratica <strong>di</strong> essa) sia verso una meta-estetica. Riassumendo la mia proposta<br />

in un ironico slogan, potrei anche affermare che solo una metaestetica<br />

ci salverà (salverà l’estetica dalla sua <strong>di</strong>ssoluzione).<br />

L’espressione “meta-estetica” in questo contesto potrebbe essere<br />

intesa almeno in tre mo<strong>di</strong>. In primo luogo, come una riflessione su<br />

atteggiamenti, esperienze, percezioni, relazioni e oggetti <strong>di</strong> tipo estetico.<br />

Una riflessione che può assumere anche il carattere trascendentale o<br />

quasi-trascendentale <strong>di</strong> un’analisi relativa alle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> possibilità<br />

e, quin<strong>di</strong>, alla legittimità <strong>di</strong> ciò che si presenta come estetico, in particolare<br />

nella forma proposizionale del giu<strong>di</strong>zio. Una tesi del genere è<br />

stata sostenuta da Jean-Marie Schaeffer in un libro del 1992, L’art de<br />

l’âge moderne. L’esthétique et la philosophie de l’Art du xviii e siècle à nos<br />

jours e ripresa con assenso da Gérard Gènette ne La relation esthétique<br />

5 . Naturalmente il riferimento <strong>di</strong> Schaeffer è alla Critica della facoltà <strong>di</strong><br />

giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Kant e in particolare al fatto che la sua analisi legittimante<br />

(in senso trascendentale) del giu<strong>di</strong>zio estetico caratterizza la sua impresa<br />

come meta-estetica, <strong>di</strong>fferenziandosi a tale proposito in maniera ra<strong>di</strong>cale<br />

da quella teoria oggettuale che caratterizzerebbe la teoria speculativa<br />

dell’arte propria della filosofia romantica e dell’idealismo. Così, sostiene,<br />

Schaeffer, Kant <strong>di</strong>mostrerebbe che nel campo dell’estetica, ivi compreso<br />

quello delle belle arti, è «impossibile qualsiasi genere <strong>di</strong> dottrina». C’è<br />

però da osservare al riguardo che se la “critica” nel senso kantiano impe<strong>di</strong>sce<br />

una dottrina, d’altra parte non può caratterizzarsi positivamente<br />

in senso meta-estetico. A meno <strong>di</strong> non far coincidere il suo campo<br />

concettuale con quello <strong>di</strong> riflessivo o, in un senso più caratterizzante,<br />

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