Dopo l'Estetica - Università di Palermo
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confronti <strong>di</strong> una <strong>di</strong>versa visione dell’estetica. In questo quadro, anche<br />
il successo delle scienze cognitive, veicolato dal successo degli analitici,<br />
ha dato una spinta importante nel cambiare lo sguardo sull’estetica<br />
come aisthesis.<br />
In terzo luogo, un ripensamento complessivo dell’estetica. Come<br />
ricordavo, l’ambiente naturale in cui si è attuato è stato il Centro Internazionale<br />
Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Estetica. Ho detto dell’accoglienza che Luigi Russo<br />
ha riservato ai miei temi, ma, dal punto <strong>di</strong> vista della evoluzione della<br />
<strong>di</strong>sciplina, moltissimo ha contato il progetto intitolato proprio “Ripensare<br />
l’estetica”, recepito e promosso come progetto nazionale da parte<br />
<strong>di</strong> Luigi Russo nel 1999-2001 (avviato a <strong>Palermo</strong> il 28 e 29 ottobre<br />
1999 in un seminario in<strong>di</strong>menticabile), e che avevo svolto in parallelo<br />
come <strong>di</strong>recteur d’études al Collège International de Philosophie, dal<br />
1998 al 2004. Il risultato finale è che oggi non solo non è affatto scandaloso<br />
riabilitare i sensi (nel 2005 fu il tema del festival <strong>di</strong> filosofia a<br />
Modena), ma, soprattutto, considerare l’estetica come teoria generale<br />
della sensibilità è una solida ovvietà, al punto che si danno ad<strong>di</strong>rittura<br />
fenomeni <strong>di</strong> epigonismo, segni certi del fatto che una dottrina è ormai<br />
pienamente riconosciuta.<br />
Questa, a gran<strong>di</strong> linee, la scena del crimine. Per chi fosse interessato<br />
a quelli che nel gergo televisivo si chiamano “approfon<strong>di</strong>menti”<br />
suggerirei tuttavia <strong>di</strong> leggere le pagine che seguono, in cui vorrei raccontare<br />
che cosa mi ha portato a scrivere Estetica razionale e che cosa<br />
è successo nel mio lavoro dopo la pubblicazione <strong>di</strong> quel libro che ha<br />
rappresentato per me a tutti gli effetti una svolta (anche sul piano<br />
pratico, con la rottura <strong>di</strong> legami e <strong>di</strong> amicizie), e il punto a cui credo<br />
<strong>di</strong> essere arrivato sul percorso avviato allora, cioè, a conti fatti (visto<br />
che i primi germi <strong>di</strong> quella trasformazione risalgono all’inizio degli<br />
anni Novanta), vent’anni fa. Questo, nella convinzione che nella microstoria<br />
si possano riconoscere aspetti illuminanti per la macrostoria,<br />
dell’estetica e della filosofia in generale, ma anche del mondo in cui<br />
viviamo, visto che non siamo isole.<br />
Ermeneutica<br />
Come ho detto, almeno nella filosofia torinese in cui mi ero formato,<br />
l’ermeneutica e il pensiero debole erano i tutori, forti e tutt’altro<br />
che arrendevoli, dell’estetica, che invece giocava la parte <strong>di</strong> ventre<br />
molle. La situazione, sulla carta, aveva qualcosa <strong>di</strong> paradossale, perché<br />
si assumeva, in primo luogo, che l’arte fosse morta, ma si aggiungeva,<br />
in secondo luogo, che l’arte aveva un peculiare valore <strong>di</strong> verità, alternativo<br />
alla scienza, e si concludeva, in terzo luogo, che il compito <strong>di</strong><br />
svelare questo specialissimo apporto veritativo e alternativo spettasse<br />
all’ermeneutica.<br />
Nei fatti le cose andavano ovviamente in modo <strong>di</strong>verso. Si sapeva<br />
benissimo <strong>di</strong> vivere nell’universo dei mass me<strong>di</strong>a, in cui arte e co-<br />
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