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Dopo l'Estetica - Università di Palermo

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e alle categorie della spiegazione meccanica o teleologica centrata comunque<br />

su una soggettività avulsa dal campo operativo in cui invece<br />

agisce. Il rischio è sempre <strong>di</strong> fare della nozione <strong>di</strong> causa (efficiente o<br />

finale) un para<strong>di</strong>gma monolitico per capire le pratiche, anche quelle<br />

estetiche come l’improvvisazione o il ritrovamento della “giusta” soluzione<br />

all’enigmaticità <strong>di</strong> un costrutto artistico. Invece, passando dal<br />

registro del cercare e della creazione al registro del trovare e della<br />

scoperta, si andrà a insistere sul campo interattivo che viene mo<strong>di</strong>ficandosi<br />

con le stesse attualizzazioni del senso pratico 19 e del sapere<br />

estetico in quanto “sapere come” in grado <strong>di</strong> rispettare le clausole wittgensteiniane<br />

della comprensione non causalisticamente determinata – e<br />

dunque nemmeno inquadrata entro i canoni dell’ermeneutica filosofica.<br />

A tal fine sarebbe proficuo riconsiderare la natura <strong>di</strong>sposizionale <strong>di</strong><br />

tale sapere vincolato in senso oggettivamente vischioso, recuperando le<br />

analisi svolte da Gilbert Ryle 20 . La “seconda natura” che si se<strong>di</strong>menta<br />

come habitus operativo-pratico è appunto ciò che costituisce il criterio,<br />

o meglio: l’alveo, della riuscita estetica, simile sotto questo profilo al<br />

sapere richiesto a uno scacchista – un sapere che «si esercita principalmente<br />

nelle mosse che [il giocatore] fa o concede e nelle mosse<br />

che evita o proibisce. Nella misura in cui egli sia capace <strong>di</strong> osservare<br />

le regole, non ci importa che non sia anche capace <strong>di</strong> formularle. Non<br />

sono le azioni che fa in testa o con la lingua, bensì quelle che fa sulla<br />

scacchiera, a rivelarci se conosce o meno le regole nella modalità esecutiva<br />

<strong>di</strong> conoscenza che consiste nell’essere capace <strong>di</strong> applicarle» 21 .<br />

Il salto dall’estetica del cercare all’estetica del trovare comporta il congedo<br />

dal mito del teatro della mente, come ha lapidariamente asserito<br />

Picasso (je ne cherche pas, je trouve) dal lato dell’artista: «conta quel<br />

che si fa, non quel che si ha intenzione <strong>di</strong> fare» 22 .<br />

I vincoli sottesi alla creatività costituiscono questo sapere estetico<br />

<strong>di</strong>sposizionale incorporato in un habitus: qualcosa che, più che a una<br />

facoltà su cui contare, assomiglia a un insieme <strong>di</strong> virtualità che in<br />

certi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> procedere, magari storicamente e socialmente canonizzati<br />

23 ma certo <strong>di</strong>ffusi al <strong>di</strong> là dell’artisticità filosoficamente definita,<br />

<strong>di</strong>vengono attuali in costrutti apprezzati o apprezzabili. Un sapere<br />

che è egualmente all’opera in fenomeni <strong>di</strong>stanti dal novero <strong>di</strong> esempi<br />

classicamente presi in considerazione – arti commerciali e costruzione<br />

dell’identità, pratiche socio-politiche e coltivazione o manipolazione<br />

della corporeità.<br />

1 Di recente l’analisi dei vincoli è stata proposta, in estetica, come filo conduttore per<br />

affrontare problemi <strong>di</strong>fferenti: Sensibilia 2 – 2008: Vincoli/Constraints, a cura <strong>di</strong> M. Di Monte<br />

e M. Rotili, Mimesis, Milano, 2009 (cfr. in particolare, oltre agli interventi dei curatori, quelli<br />

<strong>di</strong> Paolo D’Angelo, Fabrizio Desideri e Tonino Griffero).<br />

2 Per l’indagine sul complementare versante del sapere estetico connesso al campo percettivo<br />

si rinvia a G. Matteucci, Il sapere estetico come prassi antropologica. Cassirer, Gehlen<br />

e la configurazione del sensibile, Ets, Pisa, 2010.<br />

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