Enologia e Gastronomia in Italia dall'Ottocento a ieri - L'Arengario S. B.
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INTRODUZIONE<br />
Nato a Vilna nel 1915, premio Nobel della letteratura nel 1980, Czeslaw<br />
Milosz era metà lituano e metà polacco. In un suo libro che Adelphi<br />
ha appena tradotto (Abbecedario, Milano, 2011, pag<strong>in</strong>e 327, 23<br />
euro) Milosz racconta di un suo amico lituano che era un gran viaggiatore<br />
e che ovunque andasse si portava appresso le ricette della cuc<strong>in</strong>a<br />
lituana per poi mostrarle ai suoi eventuali ospiti a chieder loro se le<br />
conoscessero. Quelli, sudamericani o altro che fossero, cadevano ovviamente<br />
dalle nuvole. Che ne potevano sapere di cibi e di spezie alla<br />
maniera lituana? Al che l’amico di Milosz lanciava loro uno sprezzante:<br />
«Che ignoranti che siete!». E voleva dire che erano degli ignoranti non<br />
perché non conoscessero uno scrittore o un musicista lituano, e bensì<br />
perché non conoscevano le ricette della cuc<strong>in</strong>a lituana. Quelle ricette<br />
che raccontano la cultura e l’identità di un popolo esattamente quanto<br />
la letteratura o la musica o la pittura.<br />
L’amico di Milosz aveva ragione? Aveva straragione, e lo dimostra<br />
a iosa questo ennesimo prodotto della fuc<strong>in</strong>a antiquaria bresciana<br />
che ha nome L’Arengario. Un catalogo dedicato ai libri che hanno<br />
comunque per argomento e canovaccio i cibi e le loro comb<strong>in</strong>azioni.<br />
E dunque l’apologia ora dei maccheroni ora della salsiccia, l’escogitazione<br />
di una tecnica a parare i danni del troppo “pappare”, e le<br />
trecento maniere di cuc<strong>in</strong>are le uova, e il modo di arredare quei cibi<br />
per portarli <strong>in</strong> tavola, e i cerimoniali di pranzi e cene, magari di pranzi<br />
o cene <strong>in</strong> cui sono uno davanti all’altra un uomo e una donna e basta<br />
talvolta un sorso di buon v<strong>in</strong>o per fare andare le cose nel verso giusto.<br />
E sotto quest’ultimo aspetto resta per me <strong>in</strong>dimenticabile il libro scritto<br />
nel 1926 da un mio conterraneo catanese, Omero Romp<strong>in</strong>i, che avevo<br />
acquistato su una bancarella quaranta e passa anni fa. La cuc<strong>in</strong>a<br />
dell’amore (numero 98 del catalogo Arengario) è il libro dove lui non<br />
si nega nulla <strong>in</strong> fatto di dandysmo erotico-gastronomico, al punto da<br />
raccomandare menù diversi - e diversi accostamenti tra cibi e v<strong>in</strong>i - a<br />
seconda che l’ospite femm<strong>in</strong>ile a cena sia bruna o bionda.<br />
Quanto fosse importante il cibo giusto al momento giusto, e la presentazione<br />
la più accattivante di quel cibo, nessuno lo sapeva meglio<br />
di un uomo politico francese che sta al vertice della storia dell’Ottocento.<br />
Charles-Maurice de Talleyrand sapeva talmente zigzagare<br />
tra i sent<strong>ieri</strong> impervi della politica da essere stato prima m<strong>in</strong>istro di<br />
Napoleone e poi dei Borboni che ne avevano preso il posto. Il suo<br />
capolavoro fu il Congresso di Vienna, dove riuscì a far giocare un<br />
ruolo considerevole a una Francia che pure era stata sconfitta sul<br />
terreno di battaglia. E siccome <strong>in</strong> politica tutti i mezzi sono buoni, e<br />
siccome Talleyrand (gran gourmet, è lui che ha <strong>in</strong>ventato la pratica di<br />
grattugiare il parmigiano sulle m<strong>in</strong>estre) sapeva a punt<strong>in</strong>o quanto la<br />
comb<strong>in</strong>azione stomaco/mente volesse la sua parte, s’era assicurato i<br />
servizi del più grande cuoco del mondo, il francese Anton<strong>in</strong> Carême.<br />
Una cena preparata da lui, e a quel punto non c’era convitato che<br />
potesse impacciare le trame politiche di Talleyrand. E difatti il personaggio<br />
che allude a un tale cuoco figura sullo sfondo di un bellissimo<br />
film francese del 1992, A cena con il diavolo, dove si misuravano<br />
nientemeno che Talleyrand e l’ex m<strong>in</strong>istro della polizia napoleonica<br />
Joseph Fouché, e a forza di piatti sontuosamente preparati da Carême<br />
Talleyrand lo conv<strong>in</strong>ce di passare anche lui al servizio dei Borboni.<br />
A parlarmi per la prima volta di Carême era stato Arnaldo Bagnasco,<br />
il f<strong>in</strong>anziere ligure che era andato a vivere <strong>in</strong> Svizzera dove custodiva<br />
la più grande collezione di libri di gastronomia al mondo. Nel 1994,<br />
un paio d’anni dopo il nostro <strong>in</strong>contro, quella collezione sarebbe stata<br />
onorata da un sontuoso catalogo <strong>in</strong> tre tomoni. Le meraviglie di quella<br />
collezione Bagnasco me le aveva mostrate una a una. Forte della sua<br />
sterm<strong>in</strong>ata conoscenza della cuc<strong>in</strong>a di f<strong>in</strong>e Quattrocento, Bagnasco<br />
avrebbe utilizzato una cena di quel tempo come il sito <strong>in</strong> cui si svolge un<br />
thriller elegante e avv<strong>in</strong>cente. Edito da Mondadori nel settembre 1997,<br />
Il Banchetto non poteva mancare nel catalogo di cui sto parlando.