1. - Clinica malattie apparato respiratorio
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2. GESTIONE DELLA BPCO<br />
pleta abolizione di queste fasi (figura 2.1D e 2.1E)<br />
giustificano, quando ne sia possibile l’esecuzione,<br />
l’attività di ricerca attiva di casi di una determinata<br />
malattia.<br />
Le considerazioni esposte illustrano a sufficienza la<br />
necessità di valutare accuratamente, prima di intraprendere<br />
un’attività di ricerca attiva di casi, la disponibilità<br />
dei seguenti elementi di conoscenza in<br />
merito a una malattia:<br />
●<br />
●<br />
●<br />
storia naturale della malattia;<br />
validità e potere predittivo degli strumenti diagnostici<br />
nelle varie fasi della malattia;<br />
efficacia delle terapie disponibili nelle varie fasi<br />
della malattia.<br />
Quando queste conoscenze siano disponibili e si<br />
propenda per una plausibile efficacia dell’intervento<br />
di ricerca attiva dei casi, rimane la necessità di<br />
valutare l’efficacia dell’intervento compiuto con una<br />
metodologia adeguata sia per disegno dello studio<br />
sia per metodo di analisi dei risultati. Crediamo sia<br />
facilmente intuibile la necessità di un tempo spesso<br />
assai lungo prima che gli entusiasmi con cui si è<br />
partiti per una ricerca attiva dei casi possano trovare<br />
conferma o,malauguratamente,essere smentiti dai<br />
risultati ottenuti. È inoltre evidente che, in una fase<br />
intermedia di acquisizione di conoscenze e in<br />
considerazione dei minori impegni etici e organizzativi,<br />
un’attività di case-finding è proponibile assai<br />
più facilmente di un’attività di screening.<br />
LE NOSTRE CONOSCENZE<br />
SULLA BPCO<br />
ELARICERCA ATTIVA DEI CASI<br />
La serie di Quaderni in cui s’inserisce questo capitolo<br />
è un’eloquente testimonianza dell’ampiezza<br />
delle nostre conoscenze sulla BPCO. In particolare,<br />
il capitolo su storia naturale e prognosi della malattia<br />
6 riassume lo stato delle conoscenze scientifiche<br />
sul decorso della BPCO in relazione alle caratteristiche<br />
eterogenee del suo fenotipo. Fin dai<br />
tempi delle ricerche di Fletcher e Peto 7 è stato definito,<br />
e mai più sostanzialmente negato, il lungo<br />
percorso temporale tipico dell’evoluzione della<br />
BPCO, indipendentemente dallo specifico fenotipo<br />
della malattia. Partendo da una prima fase, in<br />
parte o completamente asintomatica 6 , in cui esiste<br />
soltanto una lieve alterazione funzionale dell’<strong>apparato</strong><br />
<strong>respiratorio</strong> dovuta a una riduzione del calibro<br />
e/o del numero dei bronchi e dei bronchioli,<br />
la BPCO evolve verso una seconda fase, in cui i<br />
sintomi (soprattutto la dispnea) portano il soggetto<br />
a rivolgersi a un medico, e infine verso un’ultima<br />
fase caratterizzata da sintomi assolutamente invalidanti,<br />
seguiti dalla morte in un tempo variabile.<br />
Sotto il profilo della storia naturale della malattia<br />
è evidente che il modello riportato nella figura<br />
2.1A ben si adatta alla BPCO.<br />
Le alterazioni funzionali tipiche della BPCO possono<br />
essere individuate con molto anticipo rispetto alla<br />
comparsa dei sintomi della malattia. Secondo le<br />
più recenti linee guida sulla BPCO 8 , esisterebbe una<br />
fase della malattia, definita “stadio 0” o del soggetto<br />
a rischio, in cui sarebbero presenti alcuni sintomi e<br />
una condizione funzionale normale. Questa definizione<br />
è tuttavia limitativa poiché prende in considerazione<br />
il solo fenotipo caratterizzato da ipersecrezione<br />
di muco e il solo rapporto FEV 1 /FVC come<br />
rappresentativo delle alterazioni funzionali tipiche<br />
della BPCO. In effetti, sappiamo che in alcuni fenotipi<br />
della BPCO la cronica ipersecrezione di muco<br />
è assente o di scarso rilievo e che una valutazione<br />
funzionale che comprenda indici più sensibili del<br />
rapporto FEV 1 /FVC può risultare alterata in soggetti<br />
esposti a fattori di rischio prima che compaia<br />
l’ipersecrezione di muco. Crediamo che gli studi<br />
condotti negli anni 1970-1990 abbiano fornito sufficienti<br />
evidenze in proposito 9 . Purtroppo, alcuni indici<br />
funzionali sensibili non sono facilmente misurabili,<br />
per altri non è stata eseguita un’adeguata standardizzazione<br />
e per altri sono stati condotti soltanto<br />
pochi studi adeguati al fine di definirne il valore predittivo<br />
rispetto a una futura condizione francamente<br />
patologica 10 . Soltanto con la piena consapevolezza<br />
di queste limitazioni possiamo accettare la definizione<br />
di uno “stadio 0” secondo le linee guida<br />
GOLD.Tuttavia, anche il rapporto FEV 1 /FVC è un<br />
indice continuo la cui utilizzazione ai fini della diagnosi<br />
attiva dipende dalla scelta di un valore di confine<br />
fra soggetti con bassa ed elevata probabilità di<br />
malattia.Esistono dimostrazioni in letteratura del fatto<br />
che differenze apparentemente piccole nella scelta<br />
del valore di confine per il rapporto FEV 1 /FVC<br />
possono portare a stime di prevalenza di BPCO molto<br />
diverse fra loro 11 . Questo fatto, unito all’assenza di<br />
chiare evidenze su quale valore di confine raggiunga<br />
il miglior compromesso fra sensibilità e specificità<br />
rispetto all’evoluzione della BPCO, deve indurre a<br />
grande prudenza quando da proposte sicuramente<br />
valide sul piano dell’asserzione scientifica si voglia<br />
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