chi svolge un lavoro indipendente che è avvenuta la riduzione) e di queste 13.000 persone le donnesono 4.000 (- 1.000): è dunque necessario capire in quale categoria di lavoro indipendente èavvenuta questa riduzione. Purtroppo si tratta di – 1.000 donne che svolgono un lavoroimprenditoriale, essendo rimasta inalterata la presenza di donne che svolgono lavoro da socia ocoadiuvante. In quanto agli uomini, 7.000 svolgono lavoro imprenditoriale su 9.000 checomplessivamente svolgono un lavoro indipendente in agricoltura.Considerando la relazione donne/uomini in agricoltura, la presenza delle donne resta il 30%, anchese c’è una riduzione complessiva in valore assoluto che colpisce solo le donne (una tendenza quindiche, se confermata nei prossimi anni, porterebbe a una situazione di “non pari opportunità”).E’ da tenere inoltre presente che, come già sottolineato, questa riduzione colpisce le donne proprionella componente più vitale e interessante per la qualità del lavoro: quella della imprenditorialitàfemminile; e questo nonostante che, nel periodo considerato, si sia registrato un aumentocomplessivo delle donne occupate. Le politiche previste nel Piano hanno come obiettivo quello difermare questa tendenza e favorire nuovi percorsi imprenditoriali femminili collegando le attivitàagricole con quelle della valorizzazione e tutela dell’ambiente.E’ da sottolineare anche una riduzione di uomini inseriti in attività imprenditoriali in agricoltura,anche se, nel periodo considerato, non c’è stata una riduzione complessiva tra gli uomini occupati inagricoltura. Le misure previste nel Piano si propongono di contrastare anche questa tendenza.La caratterizzazione delle ruralità.L'analisi dei legami esistenti fra l'IR e un insieme di variabili descrittive delle più importantidimensioni regionali quali quella demografica, sociale, economica e strutturale (perapprofondimenti consultare le tabelle di analisi socioeconomica, in particolare le tabelle 3 e 4),rappresenta, sicuramente, un primo passo verso una più approfondita conoscenza della Regioneevidenziando, queste relazioni, le caratteristiche essenziali che connotano i diversi ambiti rurali.Il motivo dominante: una nuova collocazione dell'agricoltura regionale.La situazione regionale suggerisce un carattere prevalentemente agricolo della ruralità, ma conun’agricoltura che necessita di una sua nuova collocazione economica e sociale.È possibile individuare, per il comparto primario, la principale possibilità di successo nella buonadiversificazione macrosettoriale, riscontrabile nella composizione del mercato del lavoro regionale,nell’elevata presenza di lavoratori autonomi e in ultimo anche nella cospicua varietà esistente nelsettore manifatturiero. Tutti questi elementi si prestano a sviluppare il ruolo multifunzionaledell’agricoltura, primo passo indispensabile per una sua maggiore connotazione rurale.Il quadro demograficoLa ruralità umbra presenta una sostanziale coincidenza fra le emergenze più intense di ruralità equelle di marginalità. Nella nostra regione, infatti, a fronte di livelli di densità abitative complessivepiuttosto bassi, si riscontra un ulteriore aggravante con le campagne più densamente popolate chesono quelle circostanti i maggiori agglomerati urbani e, dunque, favorite dagli effetti d’indotto dellecittà. Le altre, in assenza di una simile condizione, non sembrano sufficientemente dotate di forzeintrinseche suscettibili di attivare i meccanismi cumulativi dello sviluppo.A suffragare un simile profilo concorrono le correlazioni con il tasso d’invecchiamento (0,509), conil tasso d’istruzione superiore (-0,79) e con la dinamica demografica decennale 1981-1991 (-0,53).Trattasi d’aspetti di non poco conto poiché vanno a delineare uno scenario che vede gliinsediamenti rurali andare verso una progressiva senilizzazione, verso una preoccupante riduzionedei livelli d’istruzione superiore e verso un apparente diffuso spopolamento che coinvolge, in modoparticolare, le aree lontane dagli agglomerati urbani.Dati più confortanti sembrerebbero quelli resi noti dall’ISTAT – trattasi in questo caso di stime -almeno per quanto concerne i livelli di spopolamento nel periodo 1985-97. In quest’arco temporalePag. 20
più recente il grado di spopolamento sembra attenuarsi (corr.=-0,306) grazie soprattutto ad unaripresa registrata anche in alcuni dei mll più rurali quali Marsciano e Gualdo Tadino.L’assetto socio-economicoLa caratterizzazione socioeconomica delle aree rurali è ancora fortemente condizionata in sensoagricolo: il tasso di primarietà, relativo alla frazione di attivi del primario sul totale dellapopolazione attiva, ha una correlazione con IR pari a 0,80, mentre quelli di secondarietà, relativoall’industria, e terziarietà, relativo ai servii, presentano correlazioni negative rispettivamente di -0,3e -0,635 evidenziando quindi come il settore dei servizi sia quello meno presente nelle realtà a piùspiccata ruralità. Una simile composizione della popolazione attiva regionale, dato il livello piùbasso dei redditi che si riscontra proprio nel settore primario ed industriale rispetto al terziario, siriflette anche nella correlazione negativa di IR con il reddito disponibile procapite al 1987 6 (-0,49),come a dire che il livello dei redditi procapite si riduce all'aumentare del livello di ruralità..Su questa linea da sottolineare altre due correlazioni positive: quella con le unità di lavoro agricolostandard per residente sparso (0,346), e quella con il tasso di professionalità dei conduttori diaziende agricole (0,387), espresso dalla quota parte di aziende i cui conduttori sono tali in formaesclusiva o prevalente. Questi dati individuano un rurale prevalentemente agricolo conun’agricoltura "professionale" e con un buon livello d’intensità lavorativa.Un altro gruppo di interdipendenze, di varia natura, è espressivo della generale debolezza earretratezza del tessuto sociale e produttivo. Infatti, sempre rispetto a IR, il tasso di attivitàcomplessivo, che costituisce un indice della vitalità dell'intero mercato del lavoro, registra inUmbria una correlazione (-0,354) che evidenzia un basso livello di tale vitalità. Ma quello sopraesposto non rappresenta l'unico punto di debolezza del mercato del lavoro regionale. A conferma ditale caratterizzazione negativa abbiamo il basso tasso di ricambio delle forze di lavoro occupatenell'industria - quanti giovani per quanti vecchi - (-0,49); e la riduzione dei livelli di qualificazioneprofessionale degli attivi, intesa come quota parte di dirigenti, tecnici e impiegati in tutti e tre isettori -nel primario (-0,69), nel secondario, (-0,714) e nel terziario (-0,495) -. Ad aggravare ancoramaggiormente tale scenario abbiamo i tassi d'industrializzazione manifatturiera che decrescono alcrescere dei livelli di ruralità (-0,54).Alla luce delle emergenze appena accennate, è difficile dire quanto gli stessi alti livelli di diffusionedel lavoro autonomo nell'industria (0,66) siano sintomo della persistenza di un artigianato "arcaico"o, piuttosto, di effervescenza imprenditoriale moderna e quanto la stessa bassa specializzazionemacrosettoriale (-0,755) sia sintomo di arretratezza - troppa agricoltura e troppo poco terziario - o,piuttosto, di una vocazione economica che nella diversificazione trova un elemento di forza.Un paio di segnali positivi alleggeriscono lo scenario fin qui esposto. Da un lato abbiamo una buonadensità imprenditoriale nell'industria alimentare che è prova di un'agricoltura che cerca di proiettarsi"a valle", magari in forme ancora micro-artigianali, e, secondo, uno svantaggio contenuto sul pianodel tasso d'industrializzazione leggera 7 (correlazione negativa di -0,24) delle aree rurali verso quellea minor ruralità.Il tessuto produttivoIl quadro fin qui delineato è parzialmente migliorato dalla presenza di una certa varietà, e quindidiversificazione delle attività produttive, riscontrabile negli ambiti rurali. Ci si riferisce qui allanumerosità delle specie di iniziative economiche presenti in un ambito geografico definito e, in6 Le stime dei redditi a livello comunale risultano, purtroppo, molto datate per l'Umbria e sicuramente quell’adottata è lapiù attendibile.7Con tale termine è inteso il “made in Italy” quindi industria del legno e del mobile, del tessile, delle pelli e cuoio edell’abbigliamento e calzature.Pag. 21
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