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quaderno n.3 - ars

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voci alte e fioche, e suon di man con elle<br />

facevano un tumulto, il qual s'aggira<br />

sempre in quell'aura sanza tempo tinta,<br />

come la rena quando turbo spira.<br />

Subito dopo, in rapida sequenza, si profila lo scorcio del fiume infernale, sulla cui<br />

sponda si ammassano le anime (....la trista riviera d'Acheronte). Una eccezione è il nobile<br />

castello del Limbo, che costituisce una parentesi di serenità nell'angoscia: il prato di fresca<br />

verdura, il verde smalto su cui passeggiano, conversando soavemente, i saggi dell'antichità,<br />

risalta con evidenza proprio per la sua eccezionalità, per il contrasto con la cupezza e con il<br />

buio, interrotto e percorso solo dai lampi funesti di fuochi punitivi. Si inseriscono nel<br />

paesaggio negativo la bufera dei lussuriosi del canto V, la greve pioggia, mista di grandine<br />

e fango, dei golosi del canto VI, la giostra tra i sassi degli avari e prodighi, la palude<br />

fangosa degli accidiosi. Si tratta, fino al canto VIII, di paesaggi abnormi e paurosi, ma<br />

inseribili ancora nella tipologia di luoghi terreni (boschi, fiumi, paludi, tempeste di vento e<br />

di pioggia). Dalle mura della città di Dite in poi prevale invece quella "innaturalità" di cui si<br />

diceva: costruzioni ed architetture inusuali (mura di ferro arroventate, dighe gigantesche,<br />

tombe infuocate, fiumi di sangue, piogge di fuoco, foreste in cui gli alberi sono uomini...).<br />

Proprio l'aspetto delle costruzioni, delle architetture appare caratteristico della prima cantica,<br />

e Dante lascia il lettore nel dubbio su chi sia l'artefice delle crudeli (o giuste?) macchine di<br />

tortura. Nel canto XV, dopo aver paragonato gli argini del Flegetonte a dighe sul Brenta o<br />

nei Paesi Bassi, prosegue:<br />

a tale imagine eran fatti quelli,<br />

tutto che né sì alti né sì grossi,<br />

qual che si fosse, lo maestro felli.<br />

L'autore lascia il dubbio sul realizzatore, sul "maestro", demoniaco o divino o forse più<br />

probabilmente, esecutore diabolico obbligato a seguire un preciso disegno della giustizia<br />

divina. L'"ordigno" delle Malebolge, con la sua struttura geometrica, con i fossati ed i ponti,<br />

porta il segno di una lucida ingegneristica progettazione; ma all'interno di ogni fossa si<br />

riproduce la natura innaturale di cui si diceva: dalla strada a due corsie dei ruffiani e<br />

seduttori, al fondo di fogna degli adulatori, al terreno traforato di pozzi infuocati dei<br />

simoniaci, dalla pece bollente in cui continuano a pescare nel torbido i barattieri, al deserto<br />

sabbioso delle metamorfosi dei ladri fino al lazzaretto delle schifose malattie dei falsari... I<br />

paesaggi offrono un senso di antinatura, un mondo artificiale, senza cielo e senza luce,<br />

senza prati e senz'acqua, ove i fiumi sono di sangue bollente, come quello in cui sono<br />

immersi i violenti contro il prossimo; di sterco, come nel caso degli adulatori; di pece, come<br />

nella bolgia dei barattieri. Si giunge poi alla distesa ghiacciata del cerchio IX, custodita dai<br />

giganti ed abitata dai traditori, in cui il paesaggio livido ed immoto simboleggia l'assenza<br />

definitiva di qualsiasi residuo del fuoco della carità e rappresenta l'assoluto della<br />

disperazione. Il canto finale, con la narrazione della discesa lungo il fianco peloso di<br />

Lucifero (materia bruta) e l'inizio dell'ascesa dal centro della terra ove il traditore di Dio è<br />

stato scagliato in seguito alla sua ribellione, si chiude con il ritorno al paesaggio terreno,<br />

quasi ad anticipare gli sviluppi della seconda cantica. Una visione di cielo saluta l'emergere

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