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quaderno n.3 - ars

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io venni men così com’io morisse;<br />

e caddi come corpo morto cade (Inf V, 139-142).<br />

Novi tormenti e novi tormentati (Inf VI, 4) si presentano nel terzo cerchio: la pena fisica,<br />

simbolo del tormento interiore, si accompagna al ricordo del mondo perduto che ora appare<br />

dolce: è il luogo che tenne in la vita serena (Inf VI, 51). Riferimenti nostalgici alla vita<br />

terrena ricorrono più volte nell’Inferno (mondo pulcro e aere dolce in Inf VII, 58 e 122;<br />

dolce lome in Inf X, 136; vita serena in Inf XV, 49-57; vita lieta in Inf XIX, 102): ciò che<br />

si è perduto è la capacità di vivere.<br />

Il cerchio dei golosi, il terzo, si apre con Cerbero, rappresentazione fisica dell’ingordigia e<br />

del suo potere distruttivo fisico e mentale: è creatura repellente, dalla barba unta e atra e il<br />

ventre largo (Inf VI, 16-17) che graffia gli spiriti scuoia e isquatra (Inf VI, 18). Qui non<br />

abbiamo bisogno di attribuire all’ingordigia un significato simbolico. Il dannato della<br />

gola è colui la cui vita si svolge attorno all’assunzione delle sostanze di cui si satura, siano<br />

esse cibo, alcol o droghe e tali sostanze sono al centro della sua esistenza, non lasciano<br />

spazio ad altro e comportano, in misura maggiore o minore, presto o tardi, la distruzione<br />

fisica e mentale. Gli avari e i prodighi del Canto VII, che fanno rotolare pesi spingendoli<br />

con il petto, sono i guerci della mente (Inf VII, 40), cioè non abbastanza consapevoli del<br />

loro male; gli uni sono incapaci di lasci<strong>ars</strong>i andare, gli altri sono dispersivi e per entrambi la<br />

vita è improduttiva, è un vano girare a vuoto. Negl’iracondi che<br />

si percotean non pur con mano<br />

ma con la testa e col petto e coi piedi<br />

troncandosi co’ denti a brano a brano<br />

(Inf VII, 112-114),<br />

l’ ira è prima di tutto rivolta verso se stessi, pervade la loro personalità, impedisce loro di<br />

liber<strong>ars</strong>i dal ìfangoî in cui sono immersi. Sommersi nel fango sono poi gli accidiosi: tristi<br />

fummo / nell’aere dolce (Inf VII, 120 121). Sono i depressi cronici, che D. Pone accanto<br />

agli iracondi: nelle personalità depressive troviamo rabbia soffocata, taciuta: quest’inno si<br />

gorgoglian nella strozza (Inf VII, 125).<br />

D. si è dunque messo sulla folle strada (Inf VIII, 91), che attraversa un campionario di<br />

umanità devastata, ma che anche è ìfolleî in quanto costringe alla riflessione e<br />

all’introspezione, al viaggio nella psiche che è pur sempre un’avventura a rischio e<br />

l’avventura incomincia all’ingresso della città di Dite (Inf IX). La salvezza di D. è<br />

minacciata dalle Erinni, da Medusa e dai diavoli. Qui il simbolismo si presta bene alla<br />

interpretazione della Commedia come processo catartico psicoterapeutico che d’altra parte<br />

presenta analogie con il processo di redenzione cristiana. Le mura della città di Dite si<br />

oppongono al viaggio di D. come le resistenze interiori al progresso della terapia; le Erinni<br />

sconvolgono la mente con sensi di colpa fino alla follia; Medusa pietrifica nelle proprie<br />

convinzioni e rende insensibili a qualsiasi tentativo terapeutico; i diavoli sono, per<br />

definizione etimologica, gli ingannatori, e ingannare se stessi è un modo per evitare<br />

l’esplorazione di sè, nella convinzione di non averne bisogno o di conoscersi già<br />

abbastanza: frode è dell’uom proprio male (Inf XI, 25-27). Ancora una volta la ragione

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