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hanno fomentato discordia e divisioni tra gli uomini. Tuttavia, nell’ambito<br />
dell’interpretazione della Commedia che stiamo seguendo, si può vedere nella pena degli<br />
scismatici la rappresentazione del sè diviso. Il fatto che la divisione avvenga per<br />
intervento di un fattore esterno, qui rappresentato dal diavolo, suggerisce un’analogia con<br />
una comune osservazione nella pratica clinica: la malattia mentale è spesso scatenata, anche<br />
se non causata, da eventi esterni che agiscono su una mente vulnerabile. Gli individui colpiti<br />
sono due in uno e uno in due (Inf XXVIII, 125) e tra loro c’è chi dice espressamente<br />
partito porto il mio cerebro (Inf XXVIII, 140). E’ un’immagine che suggerisce<br />
disintegrazione delle funzioni dell’Io, cioè una patologia mentale per le cui caratteristiche lo<br />
psichiatra svizzero Bleuler coniò il termine ìschizofreniaî. D. ha pietà per questi infelici<br />
(Inf XXIX, 1-3), come già aveva avuto pietà per i lussuriosi, i suicidi, i sodomiti e gli<br />
indovini.<br />
Fin qui abbiamo incontrato le aberrazioni dello spirito, ma la decima bolgia del cerchio<br />
ottavo, è popolata da ammalati dalle marcite membra (Inf XXIX, 51), affetti da scabbia,<br />
deformati dall’ascite, tormentati dalla febbre. D. paragona le immagini che ci offre, a quelle<br />
delli spedali di Valdichiana (Inf XXIX, 44-45). Il mondo della malattia è il mondo gramo<br />
(Inf XXX, 59). Siamo passati dalla malattia spirituale a quella fisica, dalla patologia<br />
funzionale a quella organica. Nei falsificatori di persone ci aspetteremmo ancora una volta la<br />
disperazione di chi vuol essere ciò che non è, al punto di identific<strong>ars</strong>i con un altro. In realtà<br />
la furia cieca di Gianni Schicchi è disumana, bestiale, è rabbia demente, è patologia<br />
cerebrale. Più oltre, Nembrotte, anima confusa, si esprime con parole che non hanno senso<br />
tranne forse che per lui (Inf XXXI, 67): è un’afasia fluente nel linguaggio della neurologia.<br />
Con questa immagine si conclude il viaggio attraverso la malattia mentale e fisica<br />
cominciato con il malessere esistenziale del limbo, procedendo attraverso disturbi della<br />
personalità fino alla disintegrazione dell’Io e alla malattia fisica e cerebrale. Quel che segue,<br />
sembrerebbe non aggiungere nulla di nuovo alla patologia dell’Io. In realtà il canto del conte<br />
Ugolino (Inf XXXIII) ci fa partecipi di un trauma psichico senza pari, in cui si concentrano<br />
tutta l’angoscia e la disperazione possibili:<br />
e io sentii chiavar l’uscio di sotto<br />
all’orribile torre (Inf XXXIII, 46-47).<br />
Tale esperienza segna per sempre Ugolino, è all’origine della sua ira implacabile e del<br />
rodimento interiore, simboleggiati dal fiero pasto. Il dolore costante, insopprimibile<br />
diventa più intenso nel momento in cui Ugolino verbalizza la sua esperienza:<br />
tu vuoi ch’io rinnovelli<br />
disperato dolor che’l cor mi preme,<br />
già pur pensando, pria ch’io ne favelli.<br />
(Inf XXXIII, 4-6).<br />
Ugolino è dunque dannato non per una preesistente patologia di personalità o malattia<br />
mentale, ma per un trauma psichico di tale natura e intensità da non lasciare speranza di<br />
guarigione. Nell’episodio dantesco, questa patologia si manifesta attraverso due fasi. La<br />
prima si sviluppa nel doloroso carcere. In questa condizione di isolamento e di impotenza,