Introduzione. Roberto Rusca La Commedia come processo psicoterapeutico
In questo studio intendo proporre la Commedia come un processo terapeutico che si prepara nell’Inferno e si sviluppa nel Purgatorio. A questo fine, mi sono servito di concetti tratti dalla filosofia di Kierkegaard, in quanto precursore della psicologia analitica esistenziale; dalla patologia psichiatrica; da principi comuni a tutte le psicoterapie o specifici, per esempio, alla terapia di gruppo o alle comunità terapeutiche. Sia chiaro che non intendo attribuire a D. idee impensabili alla sua epoca. Una lettura di D. basata su principi propri della psicopatologia e della psicoterapia si giustifica quando si considerino le analogie tra il processo catartico e soterico della esperienza religiosa e la cat<strong>ars</strong>i della psiche attraverso l’esperienza psicoterapeutica. Per il fine che mi sono proposto, ho ritenuto opportuno limitare questo lavoro a Inferno e Purgatorio. Se alcuni momenti della Commedia non si adattano facilmente alla presente interpretazione, non è solo perchè la Commedia non è un trattato di psicopatologia o di terapia, ma soprattutto perchè è prima di tutto un’ opera poetica alle cui esigenze è sottoposto anche il tema religioso. L’inferno come fase di preparazione. Dante all’età di trentacinque anni si ritrova nel mezzo di una crisi esistenziale (Inf I, 1-3), da cui non vede via d’uscita. La sua esperienza è la disperazione, amara che poco è più morte (Inf I, 7). Non è però una esperienza completamente negativa e D. ci dirà del ben ch’io vi trovai (Inf I, 8). E’ nel pensiero di Kierkegaard, cinque secoli dopo e, sia chiaro, indipendentemente da D., che ritroviamo una valutazione positiva della disperazione come momento fondamentale del progresso interiore: il filosofo danese, in Enten Eller, addirittura invita a disperare. L’esperienza dello smarrimento interiore si accompagna alla paura (Inf I, 4). D. si è smarrito perchè pieno di sonno (Inf I, 11): è vissuto fino ad allora senza prendere piena coscienza della sua condizione, senza conoscere se stesso. La disperazione è, nel linguaggio di Kierkegaard, malattia mortale in D. è lo passo / che non lasciò già mai persona viva (Inf I, 26-27). Credere di poterne uscire da soli è mera illusione (Inf I, 22-24). L’ostacolo maggiore all’attuazione di sè è identificabile nelle pulsioni istintuali, le tre fiere rappresentanti lussuria superbia e cupidigia. La pulsione istintuale che non cessa di f<strong>ars</strong>i sentire, è la bestia senza pace (Inf I, 58) che rende schiavi, impedisce la riflessione, la crescita interiore, la realizzazione di sè e rigetta nella disperazione, là dove èl sol tace (Inf I, 60). Le tre fiere hanno come attributi la superficialità e la volubilità, (lonza leggiera e presta molto Inf I, 32), l’ira (rabbiosa fame Inf I, 47) e l’insaziabilità (di tutte brame/ carca nella sua magrezza). Il mondo è un loco selvaggio (Inf I, 99) in cui per lo più non vi è salvezza dalla disperazione: udirai le disperate strida (Inf I, 115). D. riconosce che la decisione di compiere il primo passo verso la guarigione è una scelta razionale. Virgilio è simbolo di tale scelta ma è anche aiuto esterno: è il terapista di D. . Come spesso avviene nella pratica clinica, la scelta razionale di rinnov<strong>ars</strong>i, di incominciare una terapia, incontra resistenze. D. cerca scuse per evitare di intraprendere il viaggio (Inf. II, 10-36) ed è accusato di viltà da Virgilio (Inf II, 45-48). L’atto di volontà, la scelta razionale, non si attua senza uno stimolo emotivo e perciò pre-razionale. In D. questo a sua volta è indotto dall’atto d’amore che, nel contesto religioso, si manifesta in una azione a catena che comincia dalla Vergine Maria e arriva a D. attraverso Lucia, Beatrice e Virgilio (Inf II,
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