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quaderno n.3 - ars

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occidentale che separa le leggende posteriori al secolo XI ( “più ampie, più complete e<br />

precise nella topografia dell'oltretomba, più sistematiche nella classificazione dei premi e dei<br />

castighi”) da quelle dei secoli precedenti (“ ma prima del secolo XI tutte queste leggende<br />

monastiche sono tanto brevi, povere, disadorne e puerili, con descrizioni topografiche tanto<br />

imprecise, poco plastiche, con rappresentazioni della vita futura tanto banali, umili e persino<br />

grossolane, che non avrebbero potuto fungere da modelli per Dante, anche se questi le<br />

avesse conosciute tutte”).<br />

La Visione di Frate Alberico, che “da quando l'Abate Cancellieri ne pubblicò per la prima<br />

volta nel 1824 il testo latino”, venne considerata dai dantisti “come precorritrice e modello<br />

interessante per la genesi della Divina Commedia”, è composta, secondo l'Asin Palacios, da<br />

elementi che “hanno assai poco, o quasi niente, di peculiare e di proprio; in maggioranza<br />

sono identici o del tutto analoghi a quelli tradizionali delle altre leggende già studiate.<br />

Basterà dunque una sommaria presentazione affinchè il suo confronto con le fonti islamiche<br />

risulti concluso” ( Dante e l'Islam, pag. 285). Alessandro d'Ancona ( I precursori di<br />

Dante, 1874; ristampato anastaticamente dall'editore Forni il 1989) precisa, nella nota 2 di<br />

pag. 23, che essa è stata composta il 1127 “come si espone nel proemio che è fatto in nome<br />

di Alberico, e ove si danno i titoli di alcuni capitoli erroneamente interpolati nella leggenda”,<br />

laddove per il Villari ( Antiche leggende… pag. xxxiv) “il codice originale cassinese, che<br />

contiene la sua narrazione è scritto fra gli anni 1159 e 1181” . Il D'Ancona riporta quei<br />

particolari della visione che avevano fatta agitare “la questione se Dante avesse tolta la<br />

materia del suo poema da una Visione, quella di Frate Alberico, che venne diseppellita dagli<br />

archivj del cenobio cassinese. Ma è assai dubbio se codesta narrazione varcasse mai le<br />

soglie della badia benedettina, ove poi è quasi certo che Dante non ponesse mai il piede” ( I<br />

precursori di Dante, pagg. 63-67 e note). A pag. 66 il D'Ancona così conclude il suo<br />

riassunto della Leggenda: “ Dopo averlo rapito al primo cielo, donde gli espone l'ordine<br />

degli altri, s. Pietro mostra ad Alberico le cinquantuna regioni nelle quali è diviso il<br />

mondo…indi, messagli una carticella scritta in bocca, lo rimanda al suo chiostro,<br />

ingiungendogli di riferire le cose vedute, e di offrirgli ogni anno un cero benedetto, alto<br />

quanto la sua statura: e così puerilmente ha termine la Visione”.<br />

I regni oltremondani di S.Bernardo<br />

Come abbiamo visto, l'XI secolo separa visioni semplici e rozze da visioni più complesse e<br />

strutturate, non prive di descrizioni allegoriche: ma tutte vengono considerate come reali,<br />

siano esse frutto di sogni che di visioni estatiche.<br />

Negli stessi decenni della messa per iscritto della visione di Frate Alberico, anche Bernardo<br />

di Chiaravalle (1090-1153), l'ultimo dei Padri ma anche l'ultima guida di Dante, i cui<br />

sermoni sono considerati dalla critica tra i "best- sellers" dell'epoca a causa dell'elevato<br />

numero di manoscritti che li hanno tramandati, aveva affrontato la descrizione dei regni<br />

oltremondani, ma da una visuale completamente diversa. Diversi studiosi hanno sottolineato<br />

i molteplici apporti teologici esercitati dall'opera bernardiana sul pensiero dantesco: ma<br />

nessuno di essi, a mia conoscenza, ha richiamato l'attenzione sulla presenza, in essa, di

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