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sembra insufficiente a oltrepassare tutti gli ostacoli e il viaggio di D., per poter proseguire,<br />
richiede l’intervento di un fattore esterno, qui rappresentato dal messo celeste. Eretico è<br />
chi non crede in alcuna forma di ìredenzioneî, o cat<strong>ars</strong>i. Tale è Farinata che, orgoglioso, si<br />
erge nella sua tomba infuocata come se avesse l’Inferno in gran dispetto. E’ una sfida al<br />
proprio tormento psichico di chi ostinatamente prosegue nella sua condizione: è il<br />
disperatamente voler essere se stesso di Kierkegaard. Il Farinata di D., che ha difeso<br />
Firenze a viso aperto dopo averla sconfitta sul campo, è uomo conscio del proprio valore,<br />
ha alta opinione di sè, identifica se stesso con il prototipo dell’eroe fiero e aderisce fino in<br />
fondo a questo Io in cui crede e che forse si è costruito per sè. Condivido l’opinione di<br />
Gentile sulla ìrigida brutale fierezza di Farinata indifferente e insensibile al dolore paterno<br />
del vicino Cavalcanteî. [G.Gentile, Studi su Dante, V, Il canto di Sordello, pag. 230,<br />
Sansoni Ed. 1965] .<br />
C’è una parte bestiale dell’uomo che può prevalere su quella umana e sottr<strong>ars</strong>i al controllo<br />
della ragione. L’aspetto bestiale dell’uomo è ben rappresentato sia nell’immagine degli<br />
omicidi immersi nel sangue, non uomini, ma belve spinte da ira folle e cieca cupidigia, sia<br />
dai loro guardiani, i Centauri, mezzo bestia e mezzo uomo (Inf XII).<br />
Il Canto XIII, ci porta nel girone dei suicidi, nel settimo cerchio. La sua potenza è tutta in<br />
un verso: uomini fummo e or siam fatti sterpi (Inf XIII, 37). Se nel canto precedente,<br />
l’istinto, prevalendo sulla ragione, disumanizza fino alla bestialità, qui la depressione<br />
disumanizza fino all’annichilimento totale: l’uomo è un corpo vuoto, uno straccio, una<br />
pianta scheletrica incapace di fruttificare. Non è tuttavia esente dal tormento delle<br />
mostruose arpie. Si pensi ai depressi che si sentono privi di energia, si trascinano da un<br />
luogo all’altro come gravati da un peso fisico, non trovano riposo, non si nutrono e<br />
perdono ogni interesse. Al tempo stesso sono tormentati da angoscia incessante, oppressi<br />
da ricordi spiacevoli che non lasciano spazio ad altri pensieri, torturati da smisurati sensi di<br />
colpa. Alcuni arrivano al delirio nichilistico e negano, per esempio, di avere il cuore o il<br />
sangue. Per chi l’osserva, il depresso è un’ombra di ciò che era prima della malattia e<br />
davvero sembra pascersi del proprio male sfogandolo di quando in quando in lacrime (Inf<br />
XIII, 101-108). Il Canto XIII si conclude con la corsa degli scialacquatori in fuga, che<br />
invano cercano di sottr<strong>ars</strong>i al morso delle cagne. E’ un’ immagine di ansia acuta,<br />
incontenibile e autodistruttiva ma anche rappresentazione dell’altra faccia della depressione,<br />
la mania, che comporta enorme spreco di energie in attività inutili e spesso pericolose e, in<br />
alcuni casi, porta, letteralmente, anche allo sperpero delle risorse finanziarie.<br />
Impotente ribellione contro la propria condizione, contro il proprio Io, contro i limiti della<br />
natura umana, è l’atteggiamento di Capaneo e dei bestemmiatori, per i quali inevitabilmente<br />
la vita è uno stillicidio di fuoco e la terra ìscotta sotto i piediî. D. accomuna il loro tormento<br />
a quello dei sodomiti, anch’essi, in fondo, ìribelliî contro natura. D. non ci lascia dubbi sulla<br />
sua pietà per quest’ultimi e sull’affetto per Brunetto Latini (Inf XV, 82-84). Qui non<br />
abbiamo la Francesca del Canto V che seduce D. ad aver pietà della sua lussuria, è piuttosto<br />
D. che spontaneamente dimostra sentimenti positivi verso coloro per i quali l’orientamento<br />
sessuale è diventato ingiusto tormento: si vede di giustizia orribil arte (Inf XIV, 6). D.,<br />
confrontandosi con le pulsioni omosessuali, teme di cedervi, di ìscott<strong>ars</strong>i:<br />
s’i fossi stato dal foco coperto