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dissolve in un'altra trasmutazione. Anche l’unione con l’altro può essere un modo di<br />
perdere se stessi ed è possibile vedere un cenno all’unione sessuale in Inf XXV, 55-57.<br />
Con il Canto XVI sembra di essere usciti, almeno per un momento e ad un esame<br />
superficiale, dalla malattia dell’anima. Qui l’argomento è l’impulso ad esplorare e<br />
l’esplorazione, rivolta alla conoscenza di sè o alla realtà esterna, come nel caso di Ulisse, è<br />
pur sempre un viaggio che non può avere termine. L’uomo in quanto tale, è limite alla<br />
conoscenza di se stesso e della realtà esterna. Questo non significa che debba abbandonare<br />
il viaggio. Il naufragio consiste piuttosto nel credere di aver raggiunto la meta. L’Ulisse di<br />
D. non ha molto in comune con l’Odisseo omerico. Quest’ultimo è un uomo sofferente,<br />
nostalgico della sua patria, che piange, dice Omero, ìcome piange una donnaî, nell’ascoltare<br />
il suo nome e le sue gesta cantate in terra straniera dove nessuno lo conosce. E’ un uomo<br />
indomabile che, perduti i compagni di viaggio, lotta contro le avversità per tornare alla sua<br />
terra e combatte contro i pretendenti al trono, per riconquistare la sua sposa e il suo regno.<br />
L’Ulisse di D. non ha neppure l’intenzione di tornare in patria e ci dice che, lasciata Circe:<br />
nè dolcezza di figlio, nè la pièta<br />
del vecchio padre, nè èl debito amore<br />
lo qual dovea Penelopè far lieta,<br />
vincer potero dentro a me l’ardore<br />
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,<br />
e delli vizi umani e del valore;<br />
ma misi me per l’alto mare aperto<br />
(Inf XXVI, 93-100).<br />
La dolcezza di figlio e la pietà del vecchio padre sono espressioni vuote di sentimento e<br />
l’amore per Penelope è ìdebitoî e perciò non sentito. E’ un uomo di una freddezza oserei<br />
dire psicopatologica Gli manca poi la riflessione su se stesso e si identifica con il suo atto,<br />
l’esplorare. Non è bestia, non vive come un bruto, certamente non è essere privo di<br />
identità, ma il suo Io è tutto nell’azione. Senza l’azione, non resta che il naufragio. Ulisse<br />
non può smettere di agire senza perdere se stesso. Il suo corpo e la sua mente hanno<br />
bisogno di essere in continuo movimento. Egli incontra la sua fine quando raggiunge<br />
l’ostacolo insuperabile, la montagna del Purgatorio. Più avanti vedremo come questa<br />
rappresenti la terapia, per la quale è necessaria una disponibilità e un’onestà, prima di tutto<br />
con se stessi, incompatibile con la personalità dell’Ulisse dantesco, il quale, non<br />
dimentichiamolo, è frodolento: si presenta a noi come il simbolo del ricercatore instancabile,<br />
crea il suo proprio mito di eroe positivo, ingannandoci sulla sua vera natura.<br />
L’inganno è un tema che, come si è visto, ricorre più volte nell’Inferno e raggiunge il suo<br />
culmine in Guido da Montefeltro (Inf XXVII) che inganna il prossimo ed è ingannato da<br />
Bonifacio e dallo stesso D. il quale gli lascia credere di essere egli stesso un dannato. Ma<br />
Guido inganna soprattutto se stesso e, come si è già osservato, l’autoinganno non permette<br />
scampo.<br />
Con il canto XXVIII dove i seminator di scandalo e di scisma (Inf XXVIII, 35) sono<br />
mutilati e divisi in due da colpi di spada, cadiamo in una patologia dell’Io ben più grave.<br />
Che cosa rappresenta il taglio? Per D. forse non più che la simbolica pena per coloro che