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BORNINTHEUSA
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Giuseppe
Di Stefano
In the Roaring Twenties, utopian positivism of the 19th
century with its progressive ideas was giving up
the odd and decadent individualism.
Futurism became very important in the 1920’s,
encouraging progress and modernity and
developing later into Rationalism.
In American night clubs, despite the Prohibition,
the jazz age begins.
Retracing the past also means to retrace
the path of personalities who are related to it.
Giuseppe Di Stefano has been one of them,
bringing enthusiasm and emotions
to the opera. He was a symbol of the Italian wit
and creativity in the musical field.
He was born in Motta Santa Anastasia, Sicily,
and was an odd man.
After winning the contest “Voci Grezze”,
he travelled through Europe in the 1940’s,
where he met and became friends with powerful
people and displayed his singing abilities.
In 1944, before having ever performed,
he sang “Il Tabarro” (The Cloak) and “L’Elisir d’Amore”
(The Elixir of Love) on Lausanne Radio.
He made his official debut in 1946 in Reggio Emilia,
playing the role of Des Grieux in “Manon”
by Jules Massenet. Thenceforth, his career ad
opera singer developed, playing the role of the
protagonist in masterpieces such as Manon Lescaut,
Tosca, Turandot, La bohème,
Rigoletto, Madama Butterfly, La fanciulla del West,
I puritani, Lucia di Lammermoor, La Favorite,
The Barber of Seville and dozens more.
He charmed audience and critics with his
soft and sensual voice, clear elocution
and amazing stage performance.
He was known as the "Golden voice",
È il decennio degli anni ruggenti, l'utopia positivista del XIX secolo
con il suo credo progressista abbandonava il campo dell'individualismo
decadente e stravagante. Il Futurismo assume un carattere d'assoluta
importanza negli anni '20, incoraggiando fortemente il progresso
e la modernità, sviluppandosi poi nel Razionalismo. Nei night club
americani, nonostante il proibizionismo, ha inizio l'età del jazz.
Approfondire per cercare di capire, cogliere quel pathos esistenzialista
che ha percorso la storia dell'uomo significa, a volte, legarsi ineluttabilmente
a personaggi che a cavallo di due secoli ci hanno regalato
memoria di essi. Che personaggio Giuseppe Di Stefano, portò entusiasmo
ed emozione nella lirica, simbolo dell’intelligenza e della creatività
italica dell’arte del bel canto, della parola messa in “Opera”.
Un tipo strano un po' chiuso, pudico, siciliano di Motta Santa
Anastasia, dopo aver vinto il primo concorso di “Voci grezze” vagabondando
per l’Europa degli anni '40, di corte in corte, ha stretto amicizie,
incontrato i potenti, e sciorinato il suo flusso torrentizio dell'arte
del bel canto. Ancora prima di esibirsi canta l’opera a Radio
Losanna nel 1944 Tabarro ed Elisir d’amore.
Debuttò ufficialmente nel 1946 a Reggio Emilia interpretando il ruolo
di Des Grieux nella Manon di Massenet e da allora la sua carriera fu
tutta un crescendo tra i pentagrammi lirici belcantistici: Manon
Lescaut, Tosca, Turandot, La bohème, Rigoletto, Madama Butterfly, La
fanciulla del West, I puritani, Lucia di Lammermoor, La Favorita, Il barbiere
di Siviglia e decine di altri ruoli lo vedevano come il re dei protagonisti,
ad affascinare le platee ed i critici più esigenti è la sua voce
morbida e sensuale, la dizione chiarissima e la starordinaria forza interpretativa.
Iniziò l’epoca del primo Di Stefano, il tenore d'oro, che
artisticamente non aveva eguali. Sono gli anni della scalata degli artisti
italiani ai grandi teatri degli Stati Uniti: la Carnegie Hall, il Metropolitan
Opera House, il favoloso Met, al Lincoln Center nell'Upper West
Side a New York, il teatro d'opera più grande del mondo. Nel 1908
Arturo Toscanini direttore del Met vuole Di Stefano, il nuovo tenore
arrivato dall'Italia. Il 25 febbraio del 1948, come Duca di Mantova nel
Rigoletto diretto da Pietro Cimara, si cimenta nella sua “prima”. “E'
arrivato il nuovo Caruso!” Charmeur, sexy voice, il Met è in visibilio,
già durante gli intervalli tutti lo definivano una vera scoperta.