Facciamoci sorprendere - Blue Liguria - Sagep

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interview
La pecora Nera
The Black Sheep
Classe 1972, romano, Celestini è
attore teatrale, regista
cinematografico e scrittore. Ospite
fisso di programmi tv come Parla
con me (su Rai3) e il recente Fratelli
e sorelle d'Italia (su La7), tiene una
rubrica settimanale sul Venerdì di
Repubblica ed è tra le voci più
lucide e impegnate del teatro
nostrano. Dopo gli studi universitari
in lettere con indirizzo
antropologico, il suo esordio sul
palcoscenico risale agli anni novanta
al Teatro Agricolo O del Montevaso.
Da allora, ha scritto successi teatrali
come Radio clandestina, Cecafumo,
Fabbrica e Scemo di guerra. 4
giugno 1944, pubblicato libri (tra
cui Lotta di Classe e Io cammino in
fila indiana) e recitato in film come
Mio fratello è figlio unico di
Lucchetti. Il suo esordio da regista,
La pecora nera (tratto dal suo
omonimo libro del 2006), ha vinto il
mese scorso il Ciak d'Oro 2011 come
Miglior Opera Prima.
Born in 1972 in Rome, Celestini is a
theatre actor, movie director, and
writer. A permanent guest on TV
shows like Talk to Me, Parla con me
(Rai3), and the recent Brothers and
Sisters of Italy (channel La7), he
writes a weekly column in the
national newspaper, La Reppublica,
and is one of the most lucid and
intense voices of modern Italian
theatre. Celestini studied
anthropology in university, but made
his debut on the stage in the
nineties at the Teatro Agricolo O in
Montevaso. Since then he has
written theatrical successes like
Radio Clandestina, Cecafumo,
Fabbrica, and Scemo di Guerra: June
4, 1944; published books like Lotta di
Classe (Class Struggle) and Io
cammino in fila Indiana (I Walk in
Single File); and acted in movies like
Lucchetti’s Mio fratello è figlio unico
(My Brother Is an Only Child). His
first movie as a director, La pecora
nera (The Black Sheep, also the title
of his book
that came out
in 2006) just
won the Ciak
d'Oro 2011
last month
for Best First
Film.
ogni giorno nei confronti delle cose che succedono.
Quel meccanismo che ci deresponsabilizza da ogni
scelta, che ci rende ogni volta un po’ meno individui,
che dopo i bombardamenti del nostro governo
ci fa dire «tanto sono stati loro a deciderlo, è colpa
loro, io che c’entro».
È quindi una fila indiana che va avanti “da sola”,
a prescindere da governi, bandiere, politica...
Esatto, sarebbe straordinario legarla solo alla contingenza
storico-culturale. E invece è quello che accade
da secoli in carcere, nei manicomi, nella scuola, in tutte
le istituzioni. Persino il voto, che è stata una delle
grandi conquiste della nostra società, oggi funziona
allo stesso modo. Non è un voto, è una delega. E poi
se le cose non vanno è sempre colpa di qualcun altro,
del “governo ladro”, dei sindacati, della Chiesa...
Sul palco e in piazza ha preso posizione su temi
forti come la dignità delle donne, il precariato, il
razzismo, persino il mangiare “buono, pulito e
giusto” di Slow Food. Come possono aiutare una
società a crescere il teatro, l’arte, la cultura?
Facendo pensare, spiegando le cose come giornali e
politici non riescono e possono fare. Il razzismo, ad
esempio, penso sia anche un problema di come viene
raccontato. Anche io, quando vedo il nordafricano
al semaforo, mi sento razzista: anche io patisco la
sua intrusione nella mia vita con la sua disperazione
vittima del mio benessere. E lo patisco non perché è
nero, giallo o verde, ma perché è desolatamente povero.
Si ritorna a parlare di ricchezza e povertà, al solito
conflitto di classe, lo stesso che provarono gli
emigrati italiani in America, o in Germania.
In un modo o nell’altro si torna sempre alla Memoria.
A quella Storia che lei va a studiare e raccogliere
per i suoi monologhi, che riprende nel
suo teatro di narrazione e riporta alla luce...
La memoria è uno strumento terapeutico utilissimo.
Ci serve sempre, nel presente come nel futuro, non è
solo nostalgia del passato...
Ed è uno strumento ancora così prezioso, nell’era
della Rete e di YouTube?
Ancora di più. C’è molta confusione sull’idea di memoria.
Il libro in biblioteca, e soprattutto il documento
o il file su internet, non sono le forme di memoria
collettiva che crediamo, ma semplici memorie
esterne cui noi oggi deleghiamo la nostra memoria e
senza le quali rischiamo di essere scatole vuote: un
conto è sapere e ricordare, un altro è sapere che su internet
posso trovare migliaia di pagine su quell’argomento
o quel file in particolare.
Però la Rete rappresenta uno sterminato supporto
per conservarla, questa memoria...
Ma nessuno leggerà mai neanche un decimo delle
migliaia di migliaia di pagine di Wikileaks pubblicate
on line, ad esempio: rimarrà solo la notizia dell’usci-
time less individual. The mechanism that, after what is
done to us, makes us say, “They did it. Or, it’s the
government’s fault, I can’t do anything”.
And so the single file mechanism continues on its
own, regardless of governments, nations, politics?
Exactly. It would be an extraordinary event if it were tied
only to cultural-historic contingencies. And yet that is
what has happened for centuries, in prisons, insane
asylums, schools, in all the institutions. Even the vote—
one of the great victories of society—today works the
same way. It is no longer a vote. It’s the delegating of
one’s vote. And if things don’t work, it’s always someone
else’s fault: the government, the unions, the Church…
On the stage and in the streets you have taken a
stand on big issues like women’s dignity,
unemployment, racism, even on eating “good,
clean, and ‘just’” food as per the Slow Food
movement. How can theatre, art, and culture help
society to grow?
By making people think. By explaining things that
newspapers and politicians don’t explain, and don’t
want to explain. Racism, for example, is a problem also
because of the way it is told. When I see a North
African at the streetlight, I too feel racist, I resent his
intrusion into my life with his desperation, victim of
my well-being. But I feel this not because he is black,
or yellow, or green, but because he is so desolately
poor. The crux of the matter is the rich and poor, we
should be speaking of the usual class conflict, the
same thing that Italian immigrants experienced in
America or in Germany.
You always come back to the concept of Memory.
That’s what you study and collect for your
monologues: the oral memory that makes a
reappearance in your theatrical narratives, the
historic memory brought back under the spotlights…
Memory is a very useful therapeutic instrument. It
serves us always, both in the present and in the future,
and not just as nostalgia for the past.
Do you still find it such a precious instrument in the
age of internet and YouTube?
Oh yes, yet more. There is much confusion about the
idea of memory. Books in the library, and even more so
all the documents or files on internet, are not the form
of collective memory that we think. They are just
simple external memories to which we, now today, are
delegating our true memory, without which we would
be just empty boxes. It is one thing to know and
remember, and something else to know that on
internet you can find thousands of pages on that
subject or that file in particular.
But doesn’t internet support, conserve, and preserve
that memory?
I’ll give you an example. No one will ever read even a
tenth of the thousands and thousands of pages of