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ANNO XVI – N. 63 – Dicembre 2012 - Agopuntura.org

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possibilità razionali in gioco in vista dell’azione buona, qui può e dunque devecongiungersi con il senso dell’illimitato, come orizzonte imponderabile in cui, indefinitiva, nella misura in cui nulla è garantito, tutto è possibile. L’azione buona (edunque bella) non può reggersi meramente sul rispetto rigido della norma, perchéogni norma intende una generalità che deve prescindere dal reale contestod’applicazione. Ma è in un tale contesto che si gioca il dissidio tra i valori. E ognivalore, quand’anche fosse in sé, può variamente confliggere con un altro, nel teatroeffettivo dell’azione. È possibile, quindi, una bellezza morale retta su un felicedisequilibrio il quale, proprio per questo, può dare nuovi frutti e persino nuovi tipi ovarianti di tipi morali visibili, riconoscibili, condivisibili. Ed è questo che ci siamoproposti, qui ed altrove, di fare. Bellezza e moralità dell’agire, quindi, nel gioco tralimite e illimite, reale e ideale, plausibile e imponderabile, credenza razionale,fiducioso confidare nel futuro o nel soprannaturale, si situano prima del sentimentoirresponsabile – e, più o meno nascostamente, colpevole - di fatalità, ma oltre ilrigido, volontaristico e intellettuale rispetto della norma generale accettata sulla basedelle credenze 12 acquisite e delle aspettative di ricompensa su di esse basate, apartire dalla rassicurante e consolatoria gratificazione che deriva dal mero sentimentodi aver assolto agli impegni assunti. Superficialità contro profondità. Inconsapevolezzacontro consapevolezza. Doveri verso gli altri contro doveri verso sé. È lo spazio danulla garantito della possibile fioritura personale, mentre si tenta di far fiorire anchegli altri. In questo modo, inseguendo estetica e morale, superamento e prospettivanuova e nuovo punto di vista, abbiamo superato il rattrappimento fatto di angustia,aridità, meschinità, invidia, tendenza al chiacchiericcio malevolo, coltivato con falsosenso di giustizia, o all’impulso improvviso - anche gratuito - alla maldicenzasvalutante, noncurante e vile; tormentata o smodata ambizione di potere o status,sfrontatezza, ipocrisia, vuoto e gesticolante amore per il giusto e il vero, privo quindidelle luci improvvise e benevole che tradiscono mitezza d’animo verso le proprie ealtrui debolezze e raggiunto (o anelato farlo) lealtà nella contesa, magnanimità nellavittoria, umiltà nella sconfitta, onestà e serietà: responsabilità, soprattutto. Unaresponsabilità da artisti (o artigiani), incaricati di dar luogo alla costruzione di unabellezza monumentale, sfaccettata e senza fine. “Nessuno meglio di voi artisti, genialicostruttori di bellezza, può intuire qualcosa del pathos con cui Dio, all'alba dellacreazione, guardò all'opera delle sue mani. Una vibrazione di quel sentimento si èinfinite volte riflessa negli sguardi con cui voi, come gli artisti di ogni tempo, avvintidallo stupore per il potere arcano dei suoni e delle parole, dei colori e delle forme,avete ammirato l'opera del vostro estro, avvertendovi quasi l'eco di quel mistero dellacreazione a cui Dio, solo creatore di tutte le cose, ha voluto in qualche modoassociarvi.” Con queste toccanti parole inizia quella che nella lontana Pasqua del 1999,fu la lettera di Giovanni Paolo II indirizzata agli artisti di tutto il mondo. Una lettera12 Come ha affermato Jiddu Krishnamurti, credenza e conoscenza sono legate molto intimamente al desiderio e, forse, se riusciamo a comprenderequesti due fattori, potremmo percepire il funzionamento del desiderio e capirne le complessità. E’ facile vedere come le credenze politiche,religiose, nazionalistiche o di altro tipo dividano la gente, creando conflitto, confusione e antagonismo - è un fatto palese, eppure siamo riluttanti adabbandonarle. C'è la fede indù, la fede cristiana, quella musulmana, quella buddista, ci sono le innumerevoli credenze settarie e nazionali, le varieideologie politiche, tutte in competizione reciproca, ognuna che cerca di prevalere sulle altre. Balza agli occhi il fatto che le credenze dividono lagente, creando intolleranza; ma è possibile vivere senza credere in qualcosa? Lo si può scoprire soltanto riuscendo a studiare se stessi in rapporto auna credenza. È davvero possibile vivere in questo mondo senza credere in qualcosa - non mutare convinzioni, non sostituire una credenza all'altra,ma essere, davvero, interamente liberi da qualunque credenza, in modo da andare incontro alla vita come se fosse sempre, in ogni momento,nuova? Dopo tutto, questa è la verità: avere la capacità di accostarsi a ogni cosa come se fosse la prima volta, attimo per attimo, senza icondizionamenti del passato, di modo che non ci sia quell'effetto cumulativo che agisce come barriera fra se stessi e ciò che è. Se si riflette, ci siacc<strong>org</strong>e che una delle cause del desiderio di accettare una credenza è la paura: la paura del vuoto, la paura della solitudine, del ristagno, di nonarrivare, di non riuscire, di non ottenere qualcosa, di non essere qualcosa, di non diventare qualcosa. La mente, così come la conosciamo, poggiasulle credenze, sul desiderio, sul bisogno di sicurezza, sulla conoscenza e sull'accumulazione di forza. Se, malgrado tutta la potenza e la superioritàdella mente, non riusciamo a pensare autonomamente, allora nel mondo non può esserci pace. Come dice Krishnamurti, quando si osserva ilfunzionamento della mente come se fosse un meccanismo complesso finché essa non divenga profondamente silenziosa, la mente cessa di farparte del tempo, e si manifesta uno stato capace di provocare una rivoluzione nell'essere e nell'atteggiamento interiore. Non è qualcosa che si puòspiegare e comprendere a parole o a livello razionale, è qualcosa attraverso cui bisogna passare con la propria esperienza. L'unica chiave cheKrishnamurti può suggerire è quindi quella della consapevolezza.13

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