Orgoglio e pregiudizio 10 , ecc.). Sicchè, nel senso detto, la nostra, non solo nei quindicianni del Sito e nei diciassette della Scuola, ma nei molti precedenti, è stata unaricerca di concreta, espressiva bellezza, come estetica morale che conduce a risvoltiaperti e con aperte contraddizioni. In tal senso ricerca spericolata, molto rischiosa edanzi totalmente pericolosa, mai basata sul certo, sul condiviso e sull’assodato.Ricerca attenta ad alcuni passi di Simone Weil, da L’ombra e la grazia (Bompiani),come quello in cui si dice :”Il desiderio racchiude in sé qualcosa dell’assoluto e sefallisce (una volta esaurita l’energia) l’assoluto si trasferisce su l’ostacolo”. E ancora,che occorre: “Afferrare (in ogni cosa) che c’è un limite e che non sarà possibileoltrepassarlo senza aiuto soprannaturale (o, altrimenti, di pochissimo) e pagandolosuccessivamente con un abbassamento terribile”. Ma c’è un altro passo moltoimportante di Weil evocato dalla nostra ricerca, laddove ricorda che il senso decisivonella vita e nell’avventura. Da La prima radice riportiamo: “Il rischio è un bisognoessenziale dell’anima”. L’assenza di rischio suscita una specie di noia che paralizza inmodo diverso da quanto faccia la paura, ma quasi altrettanto. E poi ci sono situazioniche, implicando un’angoscia diffusa senza rischio preciso, trasmettonocontemporaneamente l’una e l’altra malattia. Il rischio è un pericolo che provoca unareazione riflessa; cioè non sorpassa le reazioni dell’anima al punto di schiacciarla sottoil peso della paura. In certi casi contiene una parte di gioco; in altri, quando unobbligo preciso costringe un uomo ad affrontarlo, è lo stimolo più alto che esista. Laprotezione degli uomini contro la paura e il terrore non implica la soppressione delrischio; implica invece la presenza permanente di una certa quantità di rischio in tuttigli aspetti della vita sociale; perché l’assenza di rischio indebolisce il coraggio al puntoda lasciar l’anima, in caso di bisogno, senza la benché minima protezione interiorecontro la paura 11 . E questo accade, ci dice ancora Weil, in presenza di cattivacoscienza o di scarsa consapevolezza. La moralità, e la bellezza che le è propria,quindi, non sono meramente questioni di buone proporzioni, equilibrio, pesi econtrappesi. Essa contempla i propri tipi ideali, i propri caratteri: stili differenti con cuiperviene a manifestazione. Riprendendo Ágnes Heller, per la filosofa ungherese,l’armonia fra le parti dell’anima non è concepita come semplice capacità diautodisciplina razionale nel controllo degli istinti e delle passioni, capace,subordinandoli, di convertire il “disordine” in “ordine”, bensì come un accordo fra tuttele parti in virtù del quale ciascuna continua a svolgere il proprio ruolo contribuendoalla costituzione di tale armonia. “Certi caratteri – rileva la Heller – possono essereamabili anche se la loro vita emozionale non è bilanciata”. In questo caso noi liamiamo per la loro aspirazione “all’assoluto, all’incondizionato, a qualcosa che èinfinito”, li amiamo “perché la loro bontà è sublime”. Il senso del limite, delle10 Il più celebre romanzo della scrittrice inglese Jane Austen, pubblicato nel 1813. E' interessante notare come la Austen ponga, nella stessa opera,due esempi opposti di fascino maschile. Ed è altrettanto interessante come anche attraverso il confronto fra questi due personaggi voglia farcinotare che l'impressione iniziale che si ha di una persona o di un personaggio non corrisponde necessariamente alla sua vera natura. Wickham è iun giovane pieno di savoir-faire, gentile piacevole ed educato. In più ha una triste e commuovente storia alle spalle da raccontare, che fa sentireElizabeth inevitabilmente più vicina e affascinata da quell'uomo già pieno di virtù. Invece Darcy, quando lo incontriamo per la prima volta, ci vienepresentato come un uomo elegante, bello e affascinante. Eppure già nella descrizione iniziale si percepisce come egli costituisca un fascinosuperiore a quello al quale sono abituate persone come Lizzie e le sue sorelle; anche il lettore viene impressionato, ma tende ad immaginarselocome inarrivabile. Darcy è atipatico mente Wickham ha tutta la nostra simpatia. Il momento in cui nasce l’antipatia verso Darcy, è quando feriscel'<strong>org</strong>oglio e la vanità di Lizzie, che in realtà è una donna sensibile, dicendo all'amico che "non è abbastanza bella per tentarlo", alludendo anche alfatto che evidentemente è rimasta seduta perché altri giovanotti non hanno voluto danzare con lei. Ma, e qui sta la meravigliosa bravura dellaAutrice, attraverso una serie intricata di eventi esce fuori la vera natura di Wickham, che si dimostrerà come un uomo veniale, privo di cuore edissoluto, mentre Darcy si dimostrerà un uomo generoso, garbato e umile, in quanto disposto a modificare la propria condotta.11 Scrive Jiddu Krishnamurti: “Esiste la paura. La paura non è mai una realtà concreta, esiste prima o dopo il presente in atto. Quando c’è la pauranel presente in atto, si tratta davvero di paura? È lì e non c’è possibilità di fuga, di evasione. Lì, nel momento presente, nel momento del pericolo,fisico o psicologico, c’è un’attenzione totale. Quando c’è attenzione totale, non c’è paura. Al contrario, il fatto reale che manchi l’attenzione generapaura. La paura nasce quando si evita la realtà, quando si fugge. Allora, la fuga in sé è paura…. Quando discuteremo la questione molto complessadella paura, non rimarremo intrappolati in troppi dettagli, ma indagheremo la dinamica della paura in tutta la sua interezza e il modo dicomprenderla, sia a parole sia concretamente. C’è differenza tra la comprensione delle parole e la comprensione dello stato concreto di paura. Noitendiamo a fare della paura un’astrazione, cioè a farne un’idea. Ma, a quanto pare, non ascoltiamo mai la voce della paura che racconta la suastoria. Parleremo insieme di tutto questo”.12
possibilità razionali in gioco in vista dell’azione buona, qui può e dunque devecongiungersi con il senso dell’illimitato, come orizzonte imponderabile in cui, indefinitiva, nella misura in cui nulla è garantito, tutto è possibile. L’azione buona (edunque bella) non può reggersi meramente sul rispetto rigido della norma, perchéogni norma intende una generalità che deve prescindere dal reale contestod’applicazione. Ma è in un tale contesto che si gioca il dissidio tra i valori. E ognivalore, quand’anche fosse in sé, può variamente confliggere con un altro, nel teatroeffettivo dell’azione. È possibile, quindi, una bellezza morale retta su un felicedisequilibrio il quale, proprio per questo, può dare nuovi frutti e persino nuovi tipi ovarianti di tipi morali visibili, riconoscibili, condivisibili. Ed è questo che ci siamoproposti, qui ed altrove, di fare. Bellezza e moralità dell’agire, quindi, nel gioco tralimite e illimite, reale e ideale, plausibile e imponderabile, credenza razionale,fiducioso confidare nel futuro o nel soprannaturale, si situano prima del sentimentoirresponsabile – e, più o meno nascostamente, colpevole - di fatalità, ma oltre ilrigido, volontaristico e intellettuale rispetto della norma generale accettata sulla basedelle credenze 12 acquisite e delle aspettative di ricompensa su di esse basate, apartire dalla rassicurante e consolatoria gratificazione che deriva dal mero sentimentodi aver assolto agli impegni assunti. Superficialità contro profondità. Inconsapevolezzacontro consapevolezza. Doveri verso gli altri contro doveri verso sé. È lo spazio danulla garantito della possibile fioritura personale, mentre si tenta di far fiorire anchegli altri. In questo modo, inseguendo estetica e morale, superamento e prospettivanuova e nuovo punto di vista, abbiamo superato il rattrappimento fatto di angustia,aridità, meschinità, invidia, tendenza al chiacchiericcio malevolo, coltivato con falsosenso di giustizia, o all’impulso improvviso - anche gratuito - alla maldicenzasvalutante, noncurante e vile; tormentata o smodata ambizione di potere o status,sfrontatezza, ipocrisia, vuoto e gesticolante amore per il giusto e il vero, privo quindidelle luci improvvise e benevole che tradiscono mitezza d’animo verso le proprie ealtrui debolezze e raggiunto (o anelato farlo) lealtà nella contesa, magnanimità nellavittoria, umiltà nella sconfitta, onestà e serietà: responsabilità, soprattutto. Unaresponsabilità da artisti (o artigiani), incaricati di dar luogo alla costruzione di unabellezza monumentale, sfaccettata e senza fine. “Nessuno meglio di voi artisti, genialicostruttori di bellezza, può intuire qualcosa del pathos con cui Dio, all'alba dellacreazione, guardò all'opera delle sue mani. Una vibrazione di quel sentimento si èinfinite volte riflessa negli sguardi con cui voi, come gli artisti di ogni tempo, avvintidallo stupore per il potere arcano dei suoni e delle parole, dei colori e delle forme,avete ammirato l'opera del vostro estro, avvertendovi quasi l'eco di quel mistero dellacreazione a cui Dio, solo creatore di tutte le cose, ha voluto in qualche modoassociarvi.” Con queste toccanti parole inizia quella che nella lontana Pasqua del 1999,fu la lettera di Giovanni Paolo II indirizzata agli artisti di tutto il mondo. Una lettera12 Come ha affermato Jiddu Krishnamurti, credenza e conoscenza sono legate molto intimamente al desiderio e, forse, se riusciamo a comprenderequesti due fattori, potremmo percepire il funzionamento del desiderio e capirne le complessità. E’ facile vedere come le credenze politiche,religiose, nazionalistiche o di altro tipo dividano la gente, creando conflitto, confusione e antagonismo - è un fatto palese, eppure siamo riluttanti adabbandonarle. C'è la fede indù, la fede cristiana, quella musulmana, quella buddista, ci sono le innumerevoli credenze settarie e nazionali, le varieideologie politiche, tutte in competizione reciproca, ognuna che cerca di prevalere sulle altre. Balza agli occhi il fatto che le credenze dividono lagente, creando intolleranza; ma è possibile vivere senza credere in qualcosa? Lo si può scoprire soltanto riuscendo a studiare se stessi in rapporto auna credenza. È davvero possibile vivere in questo mondo senza credere in qualcosa - non mutare convinzioni, non sostituire una credenza all'altra,ma essere, davvero, interamente liberi da qualunque credenza, in modo da andare incontro alla vita come se fosse sempre, in ogni momento,nuova? Dopo tutto, questa è la verità: avere la capacità di accostarsi a ogni cosa come se fosse la prima volta, attimo per attimo, senza icondizionamenti del passato, di modo che non ci sia quell'effetto cumulativo che agisce come barriera fra se stessi e ciò che è. Se si riflette, ci siacc<strong>org</strong>e che una delle cause del desiderio di accettare una credenza è la paura: la paura del vuoto, la paura della solitudine, del ristagno, di nonarrivare, di non riuscire, di non ottenere qualcosa, di non essere qualcosa, di non diventare qualcosa. La mente, così come la conosciamo, poggiasulle credenze, sul desiderio, sul bisogno di sicurezza, sulla conoscenza e sull'accumulazione di forza. Se, malgrado tutta la potenza e la superioritàdella mente, non riusciamo a pensare autonomamente, allora nel mondo non può esserci pace. Come dice Krishnamurti, quando si osserva ilfunzionamento della mente come se fosse un meccanismo complesso finché essa non divenga profondamente silenziosa, la mente cessa di farparte del tempo, e si manifesta uno stato capace di provocare una rivoluzione nell'essere e nell'atteggiamento interiore. Non è qualcosa che si puòspiegare e comprendere a parole o a livello razionale, è qualcosa attraverso cui bisogna passare con la propria esperienza. L'unica chiave cheKrishnamurti può suggerire è quindi quella della consapevolezza.13
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