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CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente

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Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />

tal cautela è da raccomandarsi molto, in tutta la filosofia, e, tuttavia, spesso viene<br />

trascurata: la cautela, cioè, di non anticipare con una definizione arrischiata i propri<br />

giudizi, prima di avere scomposto completa<strong>mente</strong> il concetto: ciò che spesso avviene solo<br />

molto tardi. Nell'intero corso <strong>della</strong> Critica (<strong>della</strong> ragione teoretica, così come <strong>della</strong> pratica)<br />

si osserverà anche che, in esso, s'incontrano molteplici occasioni per completare mancanze<br />

del vecchio procedimento dogmatico <strong>della</strong> filosofia, e per correggere difetti, non osservabili<br />

prima che, nel trattare i concetti, si faccia un uso <strong>della</strong> ragione che la coinvolga in tutti i<br />

suoi aspetti.<br />

A5. Più che l'incomprensibilità, mi preoccupano eventuali equivoci rispetto ad alcune<br />

espressioni, cercate da me con gran cura perché non sfuggisse il concetto a cui si<br />

riferiscono. Così, nella tavola delle categorie <strong>della</strong> ragion “pratica”, sotto il titolo <strong>della</strong><br />

«modalità», il “lecito” e l'”illecito” (possibile e impossibile pratica<strong>mente</strong> oggettivi) hanno,<br />

nel comune uso linguistico, quasi lo stesso senso delle successive categorie del «doveroso»<br />

e dell'«opposto al dovere». Qui, però, la prima espressione deve significare ciò che<br />

concorda, o contrasta, con un precetto pratico semplice<strong>mente</strong> “possibile” (come, ad<br />

esempio, la soluzione di tutti i problemi <strong>della</strong> geometria e <strong>della</strong> meccanica); la seconda, ciò<br />

che si trova nello stesso rapporto con una legge “data real<strong>mente</strong>” nella ragione in generale:<br />

e questa differenza di significato non è del tutto estranea neppure all'uso linguistico<br />

comune, anche se è alquanto inusitata. A un oratore come tale, ad esempio, è “illecito”<br />

foggiare nuove parole o locuzioni: al poeta è, in certa misura, “lecito”. In nessuno dei due<br />

casi si pensa al dovere. Perché, se qualcuno vuol perdere la fama di oratore, nessuno può<br />

impedirglielo. Si tratta, qui, solo <strong>della</strong> distinzione degli “imperativi”, a seconda che il<br />

fondamento di determinazione sia problematico, assertorio o apodittico. Così pure, nella<br />

nota in cui ho contrapposto tra loro le idee morali di perfezione pratica nelle diverse scuole<br />

filosofiche, l'idea <strong>della</strong> “saggezza” è distinta da quella <strong>della</strong> “santità”, sebbene in fondo, e<br />

oggettiva<strong>mente</strong>, io le abbia dichiarate equivalenti. Ma in quel passo io intendo solo quella<br />

saggezza che l'uomo (stoico) si attribuisce e, quindi, l'ho intesa “soggettiva<strong>mente</strong>”, come<br />

proprietà dell'uomo. (Forse anche l'espressione «virtù», di cui lo stoico fa del pari grande<br />

sfoggio, potrebbe meglio designare la caratteristica <strong>della</strong> sua scuola.) Ma l'espressione<br />

“postulato” <strong>della</strong> ragion pura pratica poteva più di ogni altra dare occasione a equivoci, se<br />

vi si fosse mescolato il significato che hanno i postulati nella matematica pura, dove<br />

comportano certezza apodittica. Qui, però, essi postulano la “possibilità di un'operazione”,<br />

il cui oggetto è stato già prima riconosciuto a priori teoretica<strong>mente</strong>, e con certezza piena,<br />

come possibile. L'altro postulato, per contro, postula la possibilità di un “oggetto” stesso<br />

(di Dio e dell'immortalità dell'anima) in base a leggi “pratiche” apodittiche, e, quindi, solo<br />

in funzione di una ragione pratica. Codesta certezza <strong>della</strong> possibilità postulata, qui, non è<br />

punto teoretica, e neppure, quindi apodittica: cioè, non manifesta una necessità<br />

riconosciuta rispetto all'oggetto, bensì un'ammissione necessaria rispetto al soggetto, che<br />

deve seguire una legge obbiettiva, ma pratica, e, pertanto, è semplice<strong>mente</strong> una ipotesi<br />

necessaria. Non mi è riuscito di trovare una migliore espressione per tale necessità<br />

razionale soggettiva, e tuttavia vera e incondizionata.<br />

A6. I nomi che designano i seguaci di una scuola hanno sempre comportato, in ogni<br />

tempo, molte discussioni pretestuose; come quando uno dice «N è un idealista», anche se<br />

N, non solo ammette, ma sostiene che alle nostre rappresentazioni di cose esterne<br />

corrispondono oggetti reali di cose esterne, solo perché egli vuole che la forma <strong>della</strong> loro<br />

intuizione non dipenda da esse ma soltanto dall'animo umano.<br />

[La punta polemica è diretta contro la recensione alla "Critica <strong>della</strong> ragion pura" comparsa<br />

anonima nelle «Gelehrten-Anzeigen» di Göttingen del 19 gennaio 1782: opera di Christian<br />

Garve (1742-1798), abbreviata da G. Heinrich Feder (1740-1821) e più tardi ripubblicata in<br />

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