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CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente

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Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />

<strong>della</strong> necessità di una cosa) non esigono punto tale omogeneità (dei condizionati e <strong>della</strong><br />

condizione nella sintesi), perché qui non deve punto rappresentarsi l'intuizione, quale si<br />

compone del molteplice che vi si trova, bensì soltanto come l'esistenza dell'oggetto<br />

condizionato, che le corrisponde, si unisca all'esistenza <strong>della</strong> condizione (come connessa ad<br />

essa nell'intelletto). E in questo senso era lecito collegare, a ciò che nel mondo sensibile è<br />

total<strong>mente</strong> condizionato (sia rispetto alla causalità, sia rispetto all'esistenza <strong>della</strong> cosa<br />

stessa), l'incondizionato, proprio del mondo intelligibile, sia pure solo<br />

indeterminata<strong>mente</strong>, rendendo trascendente la sintesi. Per questo, anche nella Dialettica<br />

<strong>della</strong> ragion pura speculativa si trovava che entrambi i modi, apparente<strong>mente</strong><br />

incompatibili, di cercare l'incondizionato per il condizionato - per esempio, nella sintesi<br />

<strong>della</strong> causalità, pensare, per ciò che è condizionato nella serie delle cause e degli effetti del<br />

mondo sensibile, a una causalità che non sia sensibil<strong>mente</strong> condizionata a sua volta - in<br />

realtà non sono contraddittori; e che la medesima azione che, in quanto appartenente al<br />

mondo sensibile, è sempre sensibil<strong>mente</strong> condizionata, cioè necessitata meccanica<strong>mente</strong>,<br />

può tuttavia, in quanto dovuta alla causalità di un agente, che appartiene al mondo<br />

intelligibile, avere a suo fondamento una causalità sensibil<strong>mente</strong> incondizionata, ed essere,<br />

pertanto, pensata come libera. Si trattava, ora, unica<strong>mente</strong> di convertire questo “potere in<br />

un essere”: cioè, di poter mostrare in un caso reale, quasi mediante un fatto, che certe<br />

azioni presuppongono una tal causalità (intelligibile, e sensibil<strong>mente</strong> incondizionata),<br />

siano poi esse reali, o anche soltanto comandate, cioè oggettiva<strong>mente</strong> necessarie in senso<br />

pratico. In azioni date real<strong>mente</strong> nell'esperienza, come accadimenti del mondo sensibile,<br />

non potevamo sperare di trovare codesta connessione, perché la causalità mediante la<br />

libertà va cercata sempre al di fuori del mondo sensibile, nell'intelligibile. Ma altre cose,<br />

all'infuori degli enti sensibili, non sono offerte alla nostra percezione e osservazione. Non<br />

rimaneva, dunque, a disposizione altro che trovare un principio di causalità non<br />

contraddittorio - e, in verità, oggettivo - che escludesse dalla determinazione di tali azioni<br />

tutte le condizioni sensibili: cioè un principio in cui la ragione non si richiami a<br />

“qualcos'altro”, come fondamento di determinazione rispetto alla causalità, bensì a quel<br />

principio che essa stessa contiene in sé, e in cui, pertanto, è di per sé pratica come “ragion<br />

pura”. Ma codesto principio non richiede alcuna ricerca e alcuna scoperta; esso è sempre<br />

esistito, in ogni ragione umana, come incorporato alla sua essenza; ed è il principio <strong>della</strong><br />

“moralità”. Dunque, quella causalità incondizionata e la sua facoltà la libertà - e, con essa,<br />

un essere (io stesso) che appartiene al mondo sensibile, in quanto tale essere appartiene,<br />

insieme, anche al mondo intelligibile -, non è pensata soltanto in modo indeterminato e<br />

problematico (ciò che era possibile già in virtù <strong>della</strong> ragione speculativa), ma è addirittura<br />

“conosciuta in modo assertorio e determinato”, rispetto alla legge <strong>della</strong> sua causalità. In tal<br />

modo la realtà del mondo intelligibile ci è data, precisa<strong>mente</strong> sotto il rispetto pratico, e tale<br />

determinazione, che in senso teoretico sarebbe “trascendente”, sotto il rispetto pratico è<br />

“immanente”. Ma qualcosa di analogo sarebbe stato impossibile nel caso <strong>della</strong> seconda<br />

idea dinamica, e cioè di quella di un “essere necessario”. Impossibile giungere ad esso<br />

partendo dal mondo sensibile, senza la mediazione <strong>della</strong> prima idea dinamica. Se, infatti,<br />

volessimo tentarlo, dovremmo osar saltare al di fuori di tutto ciò che ci è dato, e proiettarci<br />

verso ciò di cui non ci è dato nulla, per mediare la connessione di un tal essere intelligibile<br />

con il mondo sensibile (poiché l'essere necessario deve riconoscersi come dato “fuori di<br />

noi”). La cosa per contro è perfetta<strong>mente</strong> possibile rispetto “al nostro proprio” soggetto,<br />

che “da un lato” si riconosce determinato, come essere intelligibile, dalla legge morale (in<br />

virtù <strong>della</strong> libertà), “dall'altro” lato come attivo secondo questa determinazione nel mondo<br />

sensibile: come, ormai, ci appare con evidenza. Solo il concetto <strong>della</strong> libertà ci permette di<br />

non uscire da noi medesimi per trovare l'incondizionato e l'intelligibile, rispetto al<br />

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