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CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente

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Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />

da essa, come una sorta d costrizione: e, cioè, mediante il sentimento di rispetto, che<br />

nessuno prova per le inclinazioni, quali che esse siano, bensì per la legge; e vien resa<br />

riconoscibile con tale contrasto ed evidenza che nessuno, neppure l'intelletto umano più<br />

comune, manca di scorgere, in un esempio che gli si presenti, che i fondamenti empirici<br />

<strong>della</strong> volontà possono, bensì, indurlo a seguire le loro sollecitazioni, ma mai obbligarlo a<br />

“obbedire” a un principio diverso, come a una legge pratica pura <strong>della</strong> ragione.<br />

La distinzione tra “dottrina <strong>della</strong> felicità” e “dottrina etica” - dove nella prima i princìpi<br />

empirici costituiscono l'intero fondamento, mentre nella seconda non forniscono neppure<br />

la minima aggiunta - è il primo e più importante compito che incomba all'Analitica <strong>della</strong><br />

ragion pura pratica, in cui essa deve procedere così puntual<strong>mente</strong> - e potrebbe dirsi, anzi,<br />

così faticosa<strong>mente</strong> - come il geometra nella sua scienza. Ma il filosofo che qui (come<br />

sempre, nella conoscenza razionale per puri concetti, senza una loro costruzione) ha da<br />

lottare con più gravi difficoltà perché non può porre a fondamento alcuna intuizione<br />

(noumenica), ha, tuttavia, anche il vantaggio di poter impiantare in qualsiasi momento un<br />

esperimento, come fa il chimico, con la ragion pratica di ogni uomo, per distinguere il<br />

fondamento di determinazione morale (puro) dall'empirico: basta che alla volontà<br />

empirica<strong>mente</strong> affetta (a quella, ad esempio, di chi vorrebbe mentire, perché da ciò può<br />

trarre un vantaggio) aggiunga la legge morale (come fondamento di determinazione). E'<br />

come quando l'analista aggiunge un alcali alla soluzione di terra di calce nello spirito di<br />

sale: lo spirito di sale abbandona immediata<strong>mente</strong> la calce, si unisce con l'alcali e precipita<br />

al fondo. Esatta<strong>mente</strong> allo stesso modo, se a colui che per il resto è una persona onesta (o<br />

che anche, semplice<strong>mente</strong>, per questa volta si colloca col pensiero al posto di una persona<br />

onesta), si presenta davanti la legge morale, che gli fa riconoscere l'indegnità di un<br />

mentitore, subito la sua ragion pratica (nel giudicare ciò che deve esser fatto) abbandona il<br />

vantaggio, si unisce a ciò che conserva il rispetto per la sua persona (la veridicità); e il<br />

vantaggio, quando uno si sia sganciato total<strong>mente</strong> dalla ragione (che sta esclusiva<strong>mente</strong><br />

dalla parte del dovere) può ora essere da ciascuno valutato a parte, e può bensì tornare a<br />

collegarsi con la ragione in altri casi, ma non quando entri in contrasto con la legge morale,<br />

che la ragione non abbandona mai, rimanendo sempre con essa intima<strong>mente</strong> unita.<br />

Ma questa “distinzione” del principio <strong>della</strong> felicità da quello <strong>della</strong> moralità non è, per<br />

questo, immediata<strong>mente</strong> una loro “opposizione”: e la ragion pura pratica non vuole che si<br />

lasci cadere ogni aspirazione alla felicità, ma solo che, quando entra in gioco il dovere, non<br />

se ne tenga alcun conto. Può essere, anzi, sotto un certo aspetto un dovere adoperarsi per<br />

la propria felicità: sia perché essa (abbracciando l'abilità, la salute, la ricchezza) contiene<br />

mezzi per adempiere al proprio dovere, sia perché la sua mancanza (per esempio, povertà)<br />

può indurre in tentazione di trasgredire il dovere. Ma promuovere la propria felicità non<br />

può mai essere immediata<strong>mente</strong> un dovere, e ancor meno un principio di ogni dovere. E<br />

poiché tutti i fondamenti di determinazione <strong>della</strong> volontà, all'infuori <strong>della</strong> sola legge<br />

pratica pura <strong>della</strong> ragione (legge morale), sono tutti empirici e, come tali, appartengono al<br />

principio <strong>della</strong> felicità, tutti devono essere separati dal principio etico supremo, e mai<br />

essere incorporati in esso come condizione: perché questo gli toglierebbe ogni valore<br />

morale, allo stesso modo che il mescolarsi di elementi empirici nei princìpi geometrici<br />

toglierebbe loro ogni evidenza matematica, che è la cosa più eccellente (a giudizio di<br />

Platone) che la matematica abbia, e che va anteposta alla sua stessa utilità.<br />

In luogo <strong>della</strong> deduzione del principio supremo <strong>della</strong> ragion pura pratica, cioè <strong>della</strong><br />

spiegazione <strong>della</strong> possibilità di una tal conoscenza a priori, non poteva, tuttavia, essere<br />

introdotta altra considerazione che questa: e cioè che, quando si scorgesse la possibilità<br />

<strong>della</strong> libertà di una causa efficiente, non si scorgerebbe solo la possibilità, ma addirittura la<br />

necessità <strong>della</strong> morale come legge pratica suprema degli esseri razionali, a cui la libertà del<br />

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