CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente
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Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />
forma integrale dallo stesso Garve nella «Allgemeine Deutsche Bibliothek» del Nicolai<br />
(Berlin 1783).]<br />
A7. Le proposizioni che in matematica, o nella dottrina <strong>della</strong> natura, son chiamate<br />
“pratiche”, dovrebbero propria<strong>mente</strong> chiamarsi “tecniche”. Con la determinazione del<br />
volere, infatti, codeste dottrine non hanno assoluta<strong>mente</strong> nulla che fare, esse presentano<br />
soltanto il molteplice <strong>della</strong> possibile operazione, il quale è sufficiente a produrre un certo<br />
effetto, e sono quindi altrettanto teoretiche quanto tutte le proposizioni che enunciano la<br />
connessione di una causa con un effetto. Chi, poi, desidera l'effetto, deve anche consentire<br />
all'esistenza <strong>della</strong> causa.<br />
A8. Per di più, l'espressione "sub ratione boni" è anche ambigua. Essa può infatti<br />
significare che noi ci rappresentiamo qualcosa come buono se e “perché lo desideriamo”<br />
(vogliamo), o, al contrario, che noi desideriamo qualcosa “perché ce lo rappresentiamo<br />
come buono”. Nel primo caso, il fondamento per cui il concetto dell'oggetto si determina<br />
con e concetto di un oggetto buono è il desiderio; nel secondo, il fondamento del desiderio<br />
(volontà) è il concetto dell'oggetto buono. Nel primo caso, quindi, "sub ratione boni" viene<br />
a significare che noi vogliamo qualcosa “sotto l'idea” del bene, nel secondo che lo vogliamo<br />
“in conseguenza di tale idea”, che deve precedere il volere come suo fondamento di<br />
determinazione.<br />
A9. Di ogni azione conforme alla legge, che tuttavia non sia compiuta per la legge, si può<br />
affermare che è morale unica<strong>mente</strong> secondo la “lettera”, ma non secondo lo “spirito”<br />
(l'intenzione).<br />
A10. Se si esamina attenta<strong>mente</strong> il concetto del rispetto verso le persone, quale è stato<br />
esposto più su, ci si accorge che esso riposa sempre sulla consapevolezza di un dovere, che<br />
un esempio ci pone sotto gli occhi; e che, quindi, il rispetto non può mai avere altro<br />
fondamento che morale. Ed è cosa assai buona, e utile alla conoscenza anche psicologica<br />
degli uomini, fare attenzione, in tutti i casi in cui usiamo tale espressione, alla<br />
considerazione nascosta e meravigliosa, ma tutt'altro che infrequente, che, nei suoi giudizi,<br />
l'uomo fa <strong>della</strong> legge morale.<br />
A11. Un singolare contrasto forma con questa legge il principio <strong>della</strong> propria felicità, che<br />
alcuni vorrebbero erigere a principio supremo <strong>della</strong> moralità. Esso suonerebbe così: “Ama<br />
te stesso sopra ogni cosa, e Dio e il tuo prossimo per amore di te”.<br />
A12. La “convinzione” dell'immutabilità <strong>della</strong> propria intenzione nel progresso verso il<br />
bene sembra, nondimeno, impossibile per sé, in una creatura. Per questo, la religione<br />
cristiana la fa derivare anch'essa dallo stesso spirito santificante, che produce questo fermo<br />
proposito e, con esso, la consapevolezza <strong>della</strong> costanza del progresso morale. Ma, anche<br />
natural<strong>mente</strong>, colui che è conscio di aver persistito per un lungo tratto <strong>della</strong> sua vita, fino<br />
alla fine, nel progresso verso il meglio, e per motivi genuina<strong>mente</strong> morali, può ben<br />
formarsi la consolante speranza, benché non la certezza, che anche in un'esistenza che<br />
perduri al di là li questa vita resterà fedele a tali princìpi; e, per quanto egli non sia qui mai<br />
giustificato ai suoi propri occhi, né possa mai sperare ciò - anche con il futuro incremento<br />
<strong>della</strong> sua perfezione naturale, che, peraltro, rende più estesi anche i suoi doveri -, tuttavia<br />
in questo progresso che, pur riguardando un traguardo posto all'infinito, vale per Dio come<br />
un possesso, egli può avere una prospettiva su un avvenire “beato”. Questa, infatti, è<br />
l'espressione di cui si serve la ragione per designare un “benessere” perfetto, indipendente<br />
da tutte le cause accidentali del mondo: benessere che, al pari <strong>della</strong> “santità”, è un'idea che<br />
può esser contenuta solo in un progresso infinito e nella sua totalità, e che, pertanto, non<br />
viene mai piena<strong>mente</strong> raggiunta dalla creatura.<br />
A13. General<strong>mente</strong> si è dell'opinione che la concezione morale degli Stoici non abbia nulla<br />
da invidiare, in fatto di purezza, al precetto morale cristiano: eppure, la loro differenza è<br />
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