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CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente

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Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />

si tratta <strong>della</strong> legge <strong>della</strong> nostra esistenza intelligibile (legge morale), non riconosce alcuna<br />

differenza di tempo, e domanda soltanto se il fatto appartenga a me, come mia azione: e, in<br />

questo caso, collega ad esso moral<strong>mente</strong> sempre la stessa sensazione, sia esso avvenuto un<br />

istante prima o molto tempo innanzi. “La vita sensibile”, infatti, rispetto alla coscienza<br />

“intelligibile” <strong>della</strong> sua esistenza (<strong>della</strong> sua libertà), possiede l'assoluta unità di un unico<br />

fenomeno, che, non contenendo altro che fenomeni dell'intenzione concernente la legge<br />

morale (carattere), non deve venir giudicato secondo la necessità naturale, che gli<br />

appartiene come fenomeno, bensì secondo l'assoluta spontaneità <strong>della</strong> libertà. Si può<br />

dunque ammettere che, se ci fosse possibile avere, del modo di pensare di una persona<br />

qual esso si manifesta nelle azioni interne non meno che esterne, una veduta così<br />

profonda, da svelarci ogni suo movente, anche minimo, conoscendo insieme tutte le<br />

occasioni esterne che agiscono su quel modo di pensare, si potrebbe prevedere il<br />

comportamento di una persona in futuro con la stessa certezza di una eclissi di luna o di<br />

sole, e affermare, cionondimeno, che la persona è libera. In altre parole, se fossimo capaci<br />

di un'altra visione (che, però, non ci è punto data, e in luogo <strong>della</strong> quale abbiamo solo il<br />

concetto razionale), e cioè di un'intuizione intellettuale del soggetto medesimo, noi<br />

intenderemmo che tutta questa catena di fenomeni, rispetto a quanto, in qualsiasi modo,<br />

riguardi la legge morale, dipende dalla spontaneità del soggetto come cosa in sé, <strong>della</strong> cui<br />

determinazione non può darsi assoluta<strong>mente</strong> una spiegazione fisica. In mancanza di tale<br />

intuizione, la legge morale ci assicura di tale differenza del rapporto delle nostre azioni<br />

come fenomeni rispetto all'essenza sensibile del nostro soggetto, da quelle per cui questa<br />

stessa essenza sensibile si riferisce in noi al substrato intelligibile. Entro questa<br />

considerazione - che è naturale, sebbene inesplicabile alla nostra ragione - si possono<br />

considerare anche i giudizi che si formulano con piena coscienza, e che, tuttavia, a prima<br />

vista sembrano contrastare del tutto con l'equità. Vi sono casi di uomini che, fin dalla<br />

fanciullezza, nonostante un'educazione che per altri risultava andar bene, mostrano<br />

tuttavia una malvagità così precoce, e continuano a svilupparla fino all'età adulta, da esser<br />

considerati come delinquenti nati, e, per ciò che concerne la loro mentalità, del tutto<br />

incorreggibili: tuttavia, li si giudica a cagione di ciò che fanno od omettono; si<br />

rimproverano loro come una colpa i loro delitti; ed essi stessi (i bambini) trovano questi<br />

rimproveri del tutto fondati, come se, nonostante la costituzione naturale senza speranza<br />

attribuita al loro animo, essi rimanessero responsabili, al pari di qualsiasi altro uomo. Ciò<br />

non potrebbe avvenire, se noi non presupponessimo che tutto ciò che scaturisce dal nostro<br />

arbitrio (come, senza dubbio, ogni azione compiuta deliberata<strong>mente</strong>) abbia a fondamento<br />

una causalità libera, che fin dalla prima giovinezza esprime il suo carattere nei suoi<br />

fenomeni (azioni): i quali, con la costanza del comportamento, manifestano una<br />

connessione naturale, da cui, tuttavia, la natura malvagia del volere non è resa necessaria,<br />

ma che, piuttosto, è la conseguenza di princìpi costanti libera<strong>mente</strong> accettati: ciò che non<br />

fa altro che rendere il soggetto ancor più spregevole e degno di punizione.<br />

Ma rimane ancora un'aporia nella libertà, se essa ha da unirsi al meccanismo naturale in<br />

un essere appartenente al mondo sensibile: un'aporia che, quand'anche si riconosca tutto<br />

ciò che è stato detto fin qui, minaccia la libertà di rovina completa. Pure, in questo<br />

pericolo, c'è una circostanza che fa sperare in un esito ancora felice per l'affermazione <strong>della</strong><br />

libertà: e, cioè, che questa stessa difficoltà incombe molto più decisa<strong>mente</strong> (anzi, come<br />

vedremo, incombe esclusiva<strong>mente</strong>) sul sistema che scambia l'esistenza determinabile nel<br />

tempo e nello spazio per una esistenza di cose in se stesse. Quell'aporia non ci costringe,<br />

dunque, a lasciar cadere il nostro fondamentale presupposto, dell'idealità del tempo come<br />

pura forma dell'intuizione sensibile, e, di conseguenza, come puro modo di<br />

rappresentazione inerente al soggetto in quanto appartenente al mondo sensibile: e,<br />

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