CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente
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Note dell’Autore<br />
Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />
A1. Affinché non ci si immagini di trovare qui “incoerenze”, quando chiamo la libertà<br />
«condizione <strong>della</strong> legge morale», e, nella trattazione successiva, affermo che la legge<br />
morale è la condizione a cui soltanto possiamo “divenire consapevoli” <strong>della</strong> libertà, voglio<br />
ricordare soltanto che la libertà è, bensì, la "ratio essendi" <strong>della</strong> legge morale, ma la legge<br />
morale è la "ratio cognoscendi" <strong>della</strong> libertà. Se, infatti, la legge morale non fosse anzitutto<br />
chiara<strong>mente</strong> pensata nella nostra ragione, non ci considereremmo mai autorizzati ad<br />
“ammettere” qualcosa come la libertà (anche se questa non ha in sé nulla di<br />
contraddittorio). Ma, se non vi fosse libertà, “non si potrebbe” affatto trovare in noi la<br />
legge morale.<br />
A2. La congiunzione <strong>della</strong> causalità come libertà con la causalità come meccanismo<br />
naturale - la prima assicurata dalla legge morale, la seconda dalla legge di natura, e<br />
precisa<strong>mente</strong> in un medesimo soggetto, l'uomo - è impossibile, se l'uomo stesso non è<br />
rappresentato in rapporto alla prima come un essere in sé, e in rapporto alla seconda come<br />
fenomeno: quello nella coscienza pura, questo nell'”empirica”. Senza di ciò, la<br />
contraddizione <strong>della</strong> ragione con se stessa sarebbe inevitabile.<br />
A3. Un recensore, che voleva rimproverare qualcosa a questo scritto, c'è riuscito meglio di<br />
quel che lui stesso potesse credere, dicendo che in esso «non si pone alcun nuovo principio<br />
<strong>della</strong> moralità, ma soltanto una “nuova formula”». Ma chi pretenderebbe di trovare e, per<br />
dir così, di inventare per primo un nuovo principio di ogni moralità? Quasi che, prima di<br />
lui, il mondo fosse stato ignaro di ciò che è il dovere, o non avesse fatto altro che avvolgersi<br />
nell'errore. Ma chi sa che cosa significhi per un matematico una formula, che determina<br />
esatta<strong>mente</strong> ciò che si deve fare per risolvere un problema senza sbagliare, non giudicherà<br />
come qualcosa di insignificante e di superfluo una formula che fa ciò rispetto ad ogni<br />
dovere. [Il recensore è il Tittel, a p. 35 <strong>della</strong> sua opera citata qui alla nota 11.]<br />
A4. Mi si potrebbe ancora domandare, a guisa di obiezione, perché io non abbia anzitutto<br />
definito il concetto <strong>della</strong> “facoltà di desiderare o del sentimento di piacere”. Ma questo<br />
rimprovero sarebbe ingiusto: perché questa definizione, in quanto data in psicologia, era<br />
giusto presupporla. E' vero che la definizione, qui, poteva essere costruita in modo che il<br />
sentimento del piacere fosse posto a fondamento <strong>della</strong> determinazione <strong>della</strong> facoltà di<br />
desiderare (così come suole anche accadere comune<strong>mente</strong>). In tal modo, il principio<br />
supremo <strong>della</strong> filosofia pratica sarebbe necessaria<strong>mente</strong> dovuto riuscire “empirico”: ma<br />
questa è la prima cosa da decidere e, in questa Critica, sarà confutata intera<strong>mente</strong>. Voglio<br />
pertanto dare qui questa definizione, quale dev'essere per lasciare all'inizio indeciso, come<br />
è giusto, codesto punto controverso. - La "vita" è la facoltà di un essere, di operare secondo<br />
leggi <strong>della</strong> facoltà di desiderare. La "facoltà di desiderare" è la sua capacità di esser causa,<br />
mediante le sue rappresentazioni, <strong>della</strong> realtà degli oggetti di tali rappresentazioni.<br />
"Piacere" è la rappresentazione dell'accordo dell'oggetto, o dell'azione, con le condizioni<br />
"soggettive" <strong>della</strong> vita: ovvero con la capacità di causare, che una rappresentazione ha<br />
rispetto alla realtà del suo oggetto (ovvero <strong>della</strong> determinazione delle forze del soggetto<br />
all'azione che la produce). Di più non ho bisogno, per la Critica di oggetti tratti dalla<br />
psicologia: il resto lo farà la Critica stessa. Ci si accorge facil<strong>mente</strong> che la questione, se il<br />
piacere debba in ogni caso essere posto a fondamento <strong>della</strong> facoltà di desiderare o se, a<br />
certe condizioni, il piacere stesso segua soltanto la determinazione di tale facoltà, in forza<br />
di queste definizioni è lasciata impregiudicata. Essa si compone, infatti, esclusiva<strong>mente</strong> di<br />
elementi dell'intelletto puro, cioè di categorie, che non contengono nulla di empirico. Una<br />
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