CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente
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Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />
determinante dell'arbitrio dev'essere immancabil<strong>mente</strong> empirico, e tale dev'essere,<br />
pertanto, anche il principio pratico materiale, che lo presuppone come condizione.<br />
E poiché (“in secondo luogo”) un principio che si fondi solo sulla condizione soggettiva di<br />
esser sensibili a un certo piacere o dispiacere (che, in ogni caso, non può essere accertata se<br />
non empirica<strong>mente</strong>, e non può valere allo stesso modo per tutti gli esseri razionali) può<br />
bensì servire da “massima” per il soggetto che si trova in quella condizione, ma neppure<br />
per lui può servire da “legge” (perché gli manca quella necessità che dev'essere riconosciuta<br />
a priori), un tal principio non può mai fornire una legge pratica.<br />
§ 3<br />
Teorema 2. - I princìpi pratici materiali sono, in quanto tali, tutti <strong>della</strong> stessa specie, e<br />
rientrano nel principio dell'amor di sé, o <strong>della</strong> propria felicità.<br />
Il piacere che dà la rappresentazione dell'esistenza di una cosa, in quanto abbia da essere la<br />
ragione per cui si desidera questa cosa, si fonda sulla “recettività” del soggetto, perché<br />
“dipende” dall'esistenza di un oggetto; perciò appartiene al senso (sentimento), e non<br />
all'intelletto, il quale esprime un rapporto <strong>della</strong> rappresentazione “con un oggetto”,<br />
secondo concetti, e non un rapporto con il soggetto, secondo la sensibilità. Esso è dunque<br />
pratico solo in quanto la sensazione gradevole, che il soggetto si attende dalla realtà<br />
dell'oggetto, determina la facoltà di desiderare. Ora, la coscienza che un essere ragionevole<br />
ha <strong>della</strong> piacevolezza del suo vivere, che accompagni ininterrotta<strong>mente</strong> tutta la sua<br />
esistenza, è la “felicità”; e il principio di fare di questa il fondamento supremo di<br />
determinazione dell'arbitrio è il principio dell'amore di sé. Dunque, tutti i princìpi<br />
materiali, che pongono il fondamento di determinazione dell'arbitrio nel piacere o<br />
dispiacere che si attende dalla realtà di un qualsiasi oggetto, sono tutti di “una stessa<br />
specie”, nel senso che appartengono tutti al principio dell'amor di sé, o <strong>della</strong> propria<br />
felicità.<br />
Corollario. - Tutte le regole pratiche “materiali” pongono il motivo determinante <strong>della</strong><br />
volontà nella “facoltà di desiderare inferiore”; e, se non ci fosse alcuna legge pura<strong>mente</strong><br />
formale <strong>della</strong> volontà, sufficiente a determinarla, non si potrebbe neppure ammettere una<br />
facoltà di desiderare superiore.<br />
Nota 1. - C'è da meravigliarsi che persone, peraltro acute, abbiano potuto credere che la<br />
distinzione tra “facoltà di desiderare inferiore e superiore” dipenda dall'origine delle<br />
"rappresentazioni" collegate con il senso di piacere, a seconda che tale origine si trovi “nei<br />
sensi” o nell'”intelletto”. Perché, quando si cercano i motivi che determinano il desiderio, e<br />
li si pone in un qualsiasi diletto che ci si attende da qualcosa, non importa assoluta<strong>mente</strong><br />
donde provenga la “rappresentazione” dell'oggetto piacevole, ma solo quanto essa<br />
“piaccia”. Se una rappresentazione, per quanto abbia sede e origine nell'intelletto, può<br />
determinare l'arbitrio solo in quanto presuppone un senso di piacere nel soggetto, il suo<br />
diventare un motivo determinante dell'arbitrio dipende intera<strong>mente</strong> dalla costituzione del<br />
senso interno, e cioè dal fatto che questo si senta affetto piacevol<strong>mente</strong>. Per quanto<br />
eterogenee siano le rappresentazioni degli oggetti, per quanto esse siano rappresentazioni<br />
intellettuali, o addirittura razionali, in contrapposto alle rappresentazioni sensibili, pure il<br />
senso di piacere per cui esse vengono propria<strong>mente</strong> a costituire il fondamento di<br />
determinazione del volere (il diletto, l'appagamento che da esse ci si attende, che stimola<br />
l'attività intesa a produrre l'oggetto) è di un'unica specie, non solo nel senso che, in ogni<br />
caso, non può essere riconosciuto se non empirica<strong>mente</strong>, ma anche nel senso che esso<br />
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