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CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente

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Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />

concetto.<br />

Anche l'esperienza, del resto, conferma che i concetti seguono in noi l'ordine che si è detto.<br />

Poniamo che qualcuno affermi, <strong>della</strong> sua inclinazione sensuale, che essa è per lui<br />

assoluta<strong>mente</strong> irresistibile quando gli si presenti l'oggetto desiderato e l'occasione di<br />

fruirne: e domandiamogli se, supposto che davanti alla casa in cui trova quell'occasione,<br />

fosse innalzata una forca, per impiccarlo immediata<strong>mente</strong> dopo che ha avuto ciò che<br />

desiderava, egli, in tal caso, non sarebbe in grado di reprimere la sua inclinazione. Non è<br />

difficile indovinare che cosa risponderebbe. Ora domandategli se, quando un principe gli<br />

imponesse, pena la stessa morte immediata, di fornire una falsa testimonianza contro una<br />

persona onesta che quel principe vorrebbe mandare in rovina con pretesti speciosi, per<br />

quanto grande sia il suo amore alla vita non riterrebbe possibile passargli sopra. Se lo<br />

farebbe o no, egli forse non si arrischierà a dirlo: ma che gli sia possibile farlo, dovrà<br />

riconoscerlo senza riserve. Egli giudica, dunque, che può fare qualcosa perché è cosciente<br />

che deve farlo, e riconosce in sé la libertà che altrimenti, senza la legge morale, gli sarebbe<br />

rimasta sconosciuta.<br />

§ 7<br />

Legge fondamentale <strong>della</strong> ragion pura pratica. - Agisci in modo che la massima <strong>della</strong> tua<br />

volontà possa valere sempre, al tempo stesso, come principio di una legislazione<br />

universale.<br />

Nota. - La geometria pura possiede postulati, come proposizioni pratiche che, tuttavia, non<br />

contengono altro che il presupposto che si “possa” eseguire qualcosa, quando si sia<br />

richiesti di farlo: e queste sono le uniche sue proposizioni che concernano un'esistenza. Si<br />

tratta, dunque, di regole pratiche sottoposte a una condizione problematica <strong>della</strong> volontà.<br />

Qui, per contro, la regola dice che ci si deve assoluta<strong>mente</strong> comportare in un certo modo.<br />

La regola pratica è dunque incondizionata, ed è pertanto rappresentata come una<br />

proposizione pratica categorica a priori, da cui la volontà è determinata senz'altro<br />

immediata<strong>mente</strong> in modo oggettivo (mediante la stessa regola pratica che, dunque, in<br />

questo caso è legge). Infatti la “ragion pura, in se stessa pratica”, è qui immediata<strong>mente</strong><br />

legislatrice. La volontà è pensata, dunque, come determinata, in quanto volontà pura,<br />

indipendente<strong>mente</strong> dalle condizioni empiriche; e, pertanto, come determinata “dalla pura<br />

forma <strong>della</strong> legge”; e questo fondamento di determinazione è considerato come la<br />

condizione suprema di tutte le massime.<br />

La cosa è abbastanza singolare, e non trova riscontro in tutto il resto <strong>della</strong> conoscenza<br />

pratica. Infatti, il pensiero a priori di una possibile legislazione universale che, dunque, è<br />

semplice<strong>mente</strong> problematico, s'impone incondizionata<strong>mente</strong> come legge, senza che si<br />

tragga nulla dall'esperienza, o da una qualsiasi volontà estranea. Inoltre, non si tratta di<br />

una prescrizione secondo cui debba avvenire un'operazione che renda possibile un effetto<br />

desiderato (perché, in tal caso, la regola sarebbe sempre condizionata fisica<strong>mente</strong>), bensì<br />

di una regola che determina a priori semplice<strong>mente</strong> la volontà, rispetto alla forma delle sue<br />

massime. E, così, non è impossibile, quanto meno, pensare una legge che serva unica<strong>mente</strong><br />

a determinare la forma “soggettiva” dei princìpi, come tale che costituisca un fondamento<br />

di determinazione grazie alla forma “oggettiva” di una legge in generale. La coscienza di<br />

questa legge fondamentale si può chiamare un fatto <strong>della</strong> ragione, non perché la si possa<br />

desumere da precedenti dati razionali, per esempio dalla coscienza <strong>della</strong> libertà (perché<br />

una tale coscienza non ci è data anzitutto), ma perché ci si impone di per se stessa come<br />

una proposizione sintetica a priori, non fondata su alcuna intuizione, né pura né empirica.<br />

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