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CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente

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Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />

dunque, esige solo che la libertà sia unita con codesta idea.<br />

Se anche, dunque, ci si concede che il soggetto intelligibile possa essere libero rispetto a<br />

una data azione, pur restando condizionato rispetto ad essa come soggetto che appartiene<br />

anche al mondo sensibile, pare tuttavia che, non appena si ammette che “Dio”, come causa<br />

universale, sia “causa anche dell'esistenza <strong>della</strong> sostanza” (una proposizione a cui non si<br />

potrà mai rinunciare senza perdere, al tempo stesso, il concetto di Dio come essenza di<br />

tutte le essenze, sacrificando quella sua onnisufficienza da cui tutta la teologia dipende), si<br />

debba anche concedere che le azioni dell'uomo abbiano in lui il loro fondamento<br />

determinante, “del tutto scisso dal suo potere”: lo abbiano, cioè, nella causalità di un essere<br />

supremo diverso dall'uomo, da cui dipendono in tutto e per tutto l'esistenza dell'uomo e<br />

l'intera determinazione <strong>della</strong> sua causalità. Infatti, se le azioni dell'uomo, che<br />

appartengono alle sue determinazioni nel tempo, non fossero mere determinazioni<br />

dell'uomo come fenomeno, bensì come cosa in sé, la libertà non potrebbe salvarsi. L'uomo<br />

sarebbe una marionetta, o un automa di Vaucanson, costruito e montato dal padrone<br />

supremo di tutti i meccanismi; e l'autocoscienza farebbe di lui un automa pensante, in cui,<br />

però, la coscienza <strong>della</strong> sua spontaneità, quando fosse scambiata per libertà, sarebbe puro<br />

inganno, meritando di venir chiamata così solo comparativa<strong>mente</strong>, nel senso che le cause<br />

determinanti immediate del suo comportamento - nonché una loro lunga serie, risalente a<br />

quelle che sono, a loro volta, le loro cause determinanti - le sarebbero bensì interiori, ma la<br />

causa ultima e suprema si troverebbe pur sempre in una mano del tutto estranea. Non<br />

vedo, perciò, come coloro che insistono nel considerare il tempo e lo spazio come<br />

determinazioni appartenenti all'esistenza delle cose in sé sperino di evitare la fatalità delle<br />

azioni; oppure, se (come il peraltro acuto Mendelssohn) li ammettono come condizioni<br />

appartenenti necessaria<strong>mente</strong> all'esistenza degli esseri finiti e derivati, ma non a quella<br />

dell'essere infinito originario, sperino di giustificare il diritto a fare questa differenza; o<br />

anche, semplice<strong>mente</strong>, come pensino di sfuggire alla contraddizione in cui incorrono<br />

quando considerano l'esistenza nel tempo come una determinazione inerente<br />

necessaria<strong>mente</strong> alle cose in sé finite, mentre Dio è la causa di questa esistenza, ma non<br />

può essere lui stesso la causa del tempo (o dello spazio), perché questi, come condizioni<br />

necessarie a priori, andrebbero presupposti all'esistenza delle cose; sicché la sua causalità,<br />

rispetto all'esistenza di queste stesse cose, sarebbe condizionata secondo il tempo: cosa che<br />

rende inevitabili le contraddizioni rispetto ai concetti <strong>della</strong> sua infinità e indipendenza. Per<br />

contro, è per noi facilissimo distinguere la determinazione dell'esistenza divina -<br />

indipendente da tutte le condizioni temporali, a differenza di quella di un essere del mondo<br />

sensibile - come “esistenza di un'essenza in se stessa”, distinta da quella di una “cosa nel<br />

fenomeno”. Se, dunque, non si accetta quell'idealità del tempo e dello spazio, non rimane<br />

altro che lo spinozismo, in cui spazio e tempo sono determinazioni essenziali dello stesso<br />

essere originario, mentre le cose che ne dipendono (e, dunque, anche noi stessi) non sono<br />

sostanze, ma semplici accidenti che gli ineriscono. Infatti, se queste cose esistono solo<br />

come suoi effetti nel “tempo”, che sarebbe la condizione <strong>della</strong> loro esistenza in sé, anche le<br />

azioni di questi esseri dovrebbero essere soltanto sue azioni, che egli compie in qualche<br />

tempo o in qualche luogo. Pertanto, lo spinozismo, a prescindere dall'assurdità <strong>della</strong> sua<br />

idea di fondo, conclude in modo molto più coerente di quanto non possano fare i<br />

sostenitori <strong>della</strong> teoria creazionistica, quando considerano gli esseri “esistenti nel tempo”,<br />

presi come sostanze, come effetti di una causa suprema, e tuttavia non, al tempo stesso,<br />

come appartenenti ad essa e alla sua operazione, bensì come sostanze per conto loro.<br />

La soluzione, breve e chiara, <strong>della</strong> difficoltà indicata è la seguente. Se l'esistenza nel tempo<br />

è un semplice modo sensibile di rappresentazione degli esseri pensanti nel mondo, e,<br />

pertanto, non concerne le cose in se stesse, la creazione di tali esseri è creazione di cose in<br />

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