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CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente

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Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />

dell'intelletto: e questo è palese<strong>mente</strong> impossibile desumerlo mediante un qualsiasi<br />

ragionamento. Alla ragione non rimane, dunque, che un unico procedimento, per giungere<br />

a tale conoscenza: e, cioè, muovere come ragion pura dal principio supremo del suo uso<br />

pratico puro (essendo questo indirizzato esclusiva<strong>mente</strong> all'”esistenza” di qualcosa come<br />

conseguenza <strong>della</strong> ragione), e determinare così il proprio “oggetto”. E allora, in questo suo<br />

compito inevitabile, e cioè nell'indirizzare necessaria<strong>mente</strong> la volontà verso il sommo bene,<br />

si mostra, non solo la necessità di ammettere un tal essere originario per la possibilità di<br />

questo bene nel mondo, ma, cosa ancor più mirabile, si mostra qualcosa che mancava del<br />

tutto al procedere <strong>della</strong> ragione sulla strada <strong>della</strong> natura: cioè un “concetto esatta<strong>mente</strong><br />

determinato di tal essere originario”. Dato che noi non conosciamo se non una piccola<br />

parte di questo mondo, e tanto meno siamo in grado di paragonarlo con tutti i mondi<br />

possibili, possiamo bensì concludere, dal suo ordine, dalla sua finalità e grandezza, a un<br />

suo autore “saggio, buono e potente”, e così via, ma non alla sua “onniscienza,<br />

onnipotenza, assoluta bontà”, eccetera. Ammettiamo pure di essere autorizzati a<br />

completare questa inevitabile mancanza mediante un'ipotesi lecita e del tutto ragionevole:<br />

e cioè che, risplendendo di saggezza, bontà, e così via, tanti elementi presenti alla nostra<br />

circostanziata conoscenza, lo stesso accada anche in tutti gli altri, e perciò sia ragionevole<br />

attribuire tutte le perfezioni possibili all'autore del mondo. Ma questi non sono<br />

“ragionamenti”, che possano farci presumere di conoscere qualcosa, bensì soltanto di aver<br />

diritto di pensare in un certo modo: diritto, però, che, per essere esercitato, richiede ancora<br />

una raccomandazione d'altra fonte. Il concetto di Dio è dunque un concetto che, per via<br />

empirica (fisica), rimane sempre ancora un “concetto” <strong>della</strong> perfezione dell'essere primo,<br />

“non così precisa<strong>mente</strong> determinato” da poterlo considerare come adeguato al concetto di<br />

una divinità (né dalla metafisica, nella sua parte trascendentale, si può sperare di ottenere<br />

qualcosa).<br />

Cerco ora di riferire questo concetto all'oggetto <strong>della</strong> ragion pratica; e trovo che il principio<br />

morale lo consente come possibile solo nel presupposto di un autore del mondo dotato<br />

<strong>della</strong> “suprema perfezione”. Egli deve essere onnisciente, per conoscere il mio<br />

comportamento fin nell'intimo <strong>della</strong> mia intenzione, in tutti i casi possibili e in tutti i<br />

tempi; “onnipotente”, per assegnargli conseguenze commisurate; e, del pari,<br />

“onnipresente, eterno”, eccetera. Pertanto, mediante il concetto del sommo bene, oggetto<br />

di una ragion pura pratica, la legge morale determina il concetto dell'essere originario<br />

come “essere supremo”: cosa che il procedere fisico (prolungantesi nel metafisico) e,<br />

pertanto, tutto il procedere speculativo <strong>della</strong> ragione, non poteva effettuare. Il concetto di<br />

Dio è, dunque, un concetto originario, che non appartiene alla fisica, per la ragione<br />

speculativa, bensì alla morale; e lo stesso può dirsi anche degli altri concetti razionali, di<br />

cui abbiam trattato più su, come postulati <strong>della</strong> ragione nel suo uso pratico.<br />

Se, nella storia <strong>della</strong> filosofa greca, all'infuori di Anassagora, non si trova alcuna traccia<br />

chiara di una teologia razionale pura, ciò non è dovuto a una mancanza d'intelletto e di<br />

penetrazione negli antichi filosofi, che permettessero loro d'innalzarsi a quell'altezza,<br />

almeno con l'aiuto di un'ipotesi perfetta<strong>mente</strong> razionale. Che cosa poteva essere più<br />

semplice, più naturale, del pensiero, che spontanea<strong>mente</strong> si offre a ciascuno, di ammettere,<br />

in luogo del grado indeterminato di perfezione proprio delle varie cause naturali, un'unica<br />

causa razionale dotata “di ogni perfezione”? Se non che il male nel mondo appariva loro<br />

un'obiezione troppo importante, perché essi si considerassero come autorizzati a fare una<br />

tale ipotesi. Essi, dunque, mostrarono intelletto e penetrazione proprio per il fatto di non<br />

essersela permessa; anzi, per aver cercato tutto intorno, nelle cause naturali, se tra esse<br />

non potesse trovarsi quella costituzione e quel potere che si richiedono all'essere<br />

originario. Ma, dopo che quel popolo dalla <strong>mente</strong> acuta progredì a tal punto nella<br />

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