CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente
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Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />
indegni.<br />
Si è “degni” del possesso di una cosa, o di uno stato, quando l'esserne in possesso va<br />
d'accordo con il sommo bene. Ora, è facile vedere che qualsiasi merito dipende dal<br />
comportamento morale: perché questo, nel concetto del sommo bene, costituisce la<br />
condizione del resto (per quel che riguarda lo stato), e cioè <strong>della</strong> partecipazione alla felicità.<br />
Segue ora di qui che la morale non va mai trattata in sé come dottrina <strong>della</strong> felicità, cioè<br />
come un'indicazione del modo per diventar felici, perché essa non ha che fare con i mezzi<br />
per ottenere la felicità, ma con la sua condizione razionale ("conditio sine qua non"). Ma se<br />
essa (che presenta soltanto doveri, e non offre regole per soddisfare desideri interessati) è<br />
stata esposta completa<strong>mente</strong>, solo a questo punto, dopo che si è risvegliato il desiderio<br />
morale, fondato su una legge, di promuovere il sommo bene (di portare tra noi il regno di<br />
Dio) - desiderio che prima non poteva sorgere in una qualsiasi anima interessata -, e dopo<br />
che, in vista di esso, si è mosso il passo verso la religione, codesta dottrina morale può<br />
anche esser chiamata dottrina <strong>della</strong> felicità, perché la “speranza” <strong>della</strong> felicità comincia<br />
soltanto con la religione.<br />
Da ciò si può anche scorgere che, se ci si domanda quale sia stato lo “scopo ultimo di Dio”<br />
nel creare il mondo, non alla “felicità” degli esseri razionali nel mondo si deve pensare,<br />
bensì al “sommo bene”, che, a quel desiderio degli esseri razionali, aggiunge ancora una<br />
condizione, e cioè quella di esser degni <strong>della</strong> felicità: ossia la moralità di questi stessi esseri<br />
razionali. Questa sola contiene la misura secondo cui essi possono sperare di divenir<br />
partecipi <strong>della</strong> felicità per l'intervento di un saggio creatore. Poiché, infatti, la saggezza, dal<br />
punto di vista “teoretico”, significa “conoscenza del sommo bene”, e, dal punto di vista<br />
pratico, “conformità <strong>della</strong> volontà” al sommo bene, non si può attribuire alla suprema<br />
indipendente saggezza uno scopo che sia fondato solo sulla benevolenza. Perché l'efficacia<br />
di quest'ultima (rispetto alla felicità degli esseri razionali) può pensarsi come conforme al<br />
sommo bene originario solo a condizione che si accordi con la “santità del suo volere”<br />
(A14). Pertanto, coloro che pongono il fine <strong>della</strong> creazione nella gloria di Dio (supposto che<br />
questa non sia pensata antropomorfica<strong>mente</strong>, come desiderio di essere stimato) hanno<br />
trovato, certo, l'espressione migliore. Nulla, infatti, glorifica Dio tanto quanto ciò che vi è<br />
di più apprezzabile nel mondo: il rispetto per il suo comando, l'osservanza del santo dovere<br />
che la sua legge ci impone, quando le sue sovrane disposizioni si aggiungono a coronare<br />
codesto bellissimo ordine con un'adeguata felicità. Se quest'ultima cosa (per parlare<br />
antropomorfica<strong>mente</strong>) lo rende degno di amore, la prima ne fa un oggetto di adorazione.<br />
Anche gli uomini possono, con i benefici che fanno, meritarsi l'amore, ma mai, per questo<br />
soltanto, il rispetto, sicché la più grande beneficenza fa loro onore solo se esercitata<br />
secondo il merito.<br />
Che, nell'ordine dei fini, l'uomo (e con lui ogni essere razionale) sia “fine in se stesso”, cioè<br />
non possa mai essere adoperato da qualcuno (neppure da Dio) esclusiva<strong>mente</strong> come<br />
mezzo, senz'essere al tempo stesso anche fine; e che, quindi, l'”umanità” nella sua persona<br />
debba essere a noi stessi “santa”, è una conseguenza che, a questo punto, viene da sé:<br />
perché l'uomo è “il soggetto <strong>della</strong> legge morale”, e, pertanto, di ciò che è santo in se stesso;<br />
in grazia di cui, e in accordo con cui soltanto, qualsiasi altra cosa può venir chiamata santa.<br />
Infatti, codesta legge morale si fonda sull'autonomia <strong>della</strong> volontà dell'uomo, come volontà<br />
libera che, secondo le sue leggi universali, deve necessaria<strong>mente</strong> potere, a un tempo,<br />
“concordare” con ciò a cui si deve “sottomettere”.<br />
6. Sui postulati <strong>della</strong> ragion pura pratica in generale<br />
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