CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente
CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente
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Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />
psicologica<strong>mente</strong>, in quanto, cioè, noi osserviamo empirica<strong>mente</strong> queste nostre facoltà “nel<br />
loro esercizio” (dal fatto, ad esempio, che l'intelletto dell'uomo sia discorsivo e le sue<br />
rappresentazioni, quindi, siano pensieri, non intuizioni; che queste si susseguano nel<br />
tempo; che la sua volontà dipenda sempre, per la sua soddisfazione, dall'esistenza del<br />
proprio oggetto, eccetera: cose che non possono esser vere dell'Essere supremo), si fa<br />
tuttavia astrazione: e così, dei concetti con cui pensiamo un puro essere intellettuale, non<br />
rimane se non ciò che è diretta<strong>mente</strong> richiesto per la possibilità di pensare una legge<br />
morale. Ciò costituisce una conoscenza di Dio, ma solo in riferimento pratico: nella quale,<br />
se noi tentiamo di ampliarla in senso teoretico, ci troviamo di fronte a un intelletto che non<br />
pensa, ma “intuisce”, a una volontà diretta su oggetti, dalla cui esistenza non dipende<br />
punto la sua soddisfazione (per non citare i predicati trascendentali come, ad esempio, la<br />
grandezza dell'esistenza, cioè la durata che non ha luogo tuttavia nel tempo, unico modo<br />
possibile a noi di rappresentarci una esistenza come grandezza). Tutte proprietà, di cui non<br />
ci possiamo formare nessun concetto atto a “conoscere” l'oggetto; sicché sappiamo che non<br />
potremo mai usarle per una teoria degli esseri sovrasensibili; e, dunque, che non potremo<br />
mai fondare in questo modo una conoscenza speculativa, ma solo restringerne l'impiego<br />
all'esercizio <strong>della</strong> legge morale.<br />
Quest'ultima verità è così evidente, e può essere mostrata così chiara<strong>mente</strong> con i fatti, che<br />
si può tranquilla<strong>mente</strong> sfidare i presunti “teologi naturali” (nome curioso) (A15) a<br />
nominare anche un'unica proprietà, ad esempio dell'intelletto o <strong>della</strong> volontà, che<br />
determini quel loro oggetto (al di là dei meri predicati ontologici): una proprietà, di cui non<br />
si possa incontestabil<strong>mente</strong> mostrare che, quando se ne separi tutto ciò che è<br />
antropomorfico, non rimanga altro che la pura parola, a cui non si riesce a collegare il<br />
minimo concetto da cui sperare un ampliamento <strong>della</strong> conoscenza teoretica. Rispetto alla<br />
pratica, però, delle proprietà dell'intelletto e <strong>della</strong> volontà rimane ancora il concetto di un<br />
rapporto, a cui la legge pratica (che determina precisa<strong>mente</strong> a priori questo rapporto<br />
dell'intelletto con la volontà) procura realtà oggettiva. Una volta che ciò sia avvenuto,<br />
anche al concetto dell'oggetto di una volontà moral<strong>mente</strong> determinata (al concetto del<br />
sommo bene) e, con esso, alle condizioni <strong>della</strong> sua possibilità, cioè alle idee di Dio, <strong>della</strong><br />
libertà e dell'immortalità, è data del pari realtà, sebbene sempre solo in riferimento<br />
all'esercizio <strong>della</strong> legge morale (e non in funzione speculativa).<br />
Dopo aver ricordato queste cose, è facile trovare anche la risposta dell'importante<br />
questione: “se il concetto di Dio sia un concetto che appartiene alla fisica” (e, con ciò,<br />
anche alla metafisica, come quella che contiene solo i princìpi a priori <strong>della</strong> fisica in senso<br />
generale) “o alla morale”. Spiegare le disposizioni naturali o i loro cambiamenti ricorrendo<br />
a Dio, come autore di tutte le cose, non è, quanto meno, una spiegazione fisica: ed è una<br />
confessione che la propria filosofia è alla fine: si è costretti, infatti, ad assumere qualcosa,<br />
di cui, peraltro, non si possiede alcun concetto, per riuscire a farsi un concetto <strong>della</strong><br />
possibilità di ciò che si ha sotto gli occhi. Ma pervenire, mediante la metafisica, dalla<br />
conoscenza di questo mondo al concetto di Dio e alla dimostrazione <strong>della</strong> sua esistenza,<br />
“mediante conclusioni sicure”, è impossibile: perché noi dovremmo conoscere questo<br />
mondo come un tutto, il più possibile completo, e quindi, in funzione di ciò, tutti i mondi<br />
possibili (in modo da paragonarli con questo); e dovremmo, perciò, essere onniscienti, per<br />
dire che il mondo fu possibile solo mediante un “Dio” (così come noi dobbiamo pensare<br />
questo concetto). D'altro canto, è assoluta<strong>mente</strong> impossibile conoscere l'esistenza di questo<br />
essere per puri concetti, perché ogni proposizione esistenziale - tale, cioè, che di un essere,<br />
di cui mi faccio un concetto, dice che esiste - è una proposizione sintetica, con cui, dunque,<br />
io vado al di là di quel concetto, e dico di più di quanto nel concetto fosse pensato. Dico,<br />
cioè, che a questo concetto nell'”intelletto” corrisponde ancora un concetto posto al di fuori<br />
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