CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente
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Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />
si vede: si vede solo che essa c'è, postulata dalla legge morale e in vista di essa. Lo stesso<br />
avviene anche con le altre idee: nessun intelletto umano può coglierne la possibilità; ma,<br />
d'altro canto, nessuna sofisticheria potrà mai convincere anche il più comune intelletto che<br />
esse non siano concetti veri.<br />
7. Come sia pensabile un'estensione <strong>della</strong> ragion pura in funzione pratica, senza che<br />
con ciò si estenda la sua conoscenza come ragione speculativa<br />
Per non divenire troppo astratti, riferiremo diretta<strong>mente</strong> la risposta al caso in questione. -<br />
Per estendere “pratica<strong>mente</strong>” una conoscenza pura, dev'esser data una “finalità a priori”,<br />
cioè uno scopo come oggetto (<strong>della</strong> volontà), rappresentato come pratica<strong>mente</strong> necessario -<br />
indipendente<strong>mente</strong> da tutti i princìpi teoretici - mediante un imperativo (categorico), che<br />
determina immediata<strong>mente</strong> la volontà: e questo oggetto è, qui, il “sommo” bene. Ma<br />
questo, per parte sua, non è possibile senza presupporre tre concetti teoretici (per i quali,<br />
essendo essi semplici concetti razionali puri, non si può trovare alcuna intuizione<br />
corrispondente, e pertanto, per via teoretica, nessuna realtà oggettiva), e cioè: libertà,<br />
immortalità, Dio. In virtù <strong>della</strong> legge pratica, dunque, che comanda l'esistenza del sommo<br />
bene possibile in un mondo, vien postulata la possibilità di quegli oggetti <strong>della</strong> ragion pura<br />
speculativa, e quella loro realtà oggettiva che essa non poteva ad essi assicurare. Con ciò,<br />
infatti, la conoscenza teoretica <strong>della</strong> ragion pura ottiene senza dubbio un accrescimento;<br />
che, tuttavia, consiste solo nel fatto che quei concetti, che altrimenti, di per sé sarebbero<br />
problematici (semplice<strong>mente</strong> pensabili), vengono assertoria<strong>mente</strong> dichiarati tali che ad<br />
essi compete effettiva<strong>mente</strong> un oggetto: perché la ragion pratica richiede inevitabil<strong>mente</strong><br />
la loro esistenza, per la possibilità di un suo oggetto come assoluta<strong>mente</strong> necessario in<br />
senso pratico, e, cioè, del sommo bene; e con ciò la ragione teoretica è autorizzata a<br />
presupporli. Ma tale ampliamento <strong>della</strong> ragione teoretica non è un ampliamento <strong>della</strong><br />
speculazione, che ne estenda l'uso positivo in “funzione teoretica”. Mediante la ragion<br />
pratica, infatti, non si ottiene altro, qui, se non che quei concetti vengano ad esser reali, e<br />
ad avere effettiva<strong>mente</strong> i loro (possibili) oggetti, senza che tuttavia ci sia dato nulla di una<br />
loro intuizione (cosa che neppure potrebbe esigersi): sicché l'ammissione di quella realtà<br />
non rende possibile nessuna proposizione sintetica. Di conseguenza, quell'apertura non ci<br />
giova minima<strong>mente</strong> rispetto alla speculazione, ma solo rispetto all'uso pratico <strong>della</strong> ragion<br />
pura, per ampliare tale nostra conoscenza. Le tre idee suddette <strong>della</strong> ragione speculativa, in<br />
sé, non sono ancora una conoscenza, ma solo “pensieri” (trascendenti), in cui non c'è nulla<br />
di impossibile. Ora, mediante una legge pratica apodittica, esse ricevono realtà oggettiva,<br />
come condizioni necessarie <strong>della</strong> possibilità di ciò che tale legge comanda di “proporsi<br />
come scopo”. In altri termini, noi siamo avvertiti che esse “hanno un oggetto”, senza<br />
tuttavia poter indicare come il loro concetto si riferisca a un “oggetto”; e questo, di nuovo,<br />
non è ancora una conoscenza di tali oggetti, poiché con ciò non si può emettere su di essi<br />
alcun giudizio sintetico, né determinare teoretica<strong>mente</strong> la loro applicazione: non se ne può<br />
fare, dunque, alcun uso teoretico <strong>della</strong> ragione, in cui propria<strong>mente</strong> consiste ogni sua<br />
conoscenza speculativa. E tuttavia, con ciò, risulta ampliata la conoscenza teoretica: “non<br />
già di quegli oggetti”, ma <strong>della</strong> ragione in genere, per il fatto che i postulati pratici danno a<br />
quelle idee un oggetto, in cui un pensiero semplice<strong>mente</strong> problematico riceve, con ciò, per<br />
la prima volta una realtà oggettiva. Non si trattava, dunque, di un ampliamento <strong>della</strong><br />
conoscenza di oggetti sovrasensibili dati, bensì di un ampliamento <strong>della</strong> ragione teoretica e<br />
<strong>della</strong> sua conoscenza rispetto al sovrasensibile in generale: nel senso che essa è costretta ad<br />
ammettere che oggetti siffatti vi siano, senza tuttavia poterli determinare in particolare, e<br />
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