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CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente

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§8<br />

Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />

Teorema 4. - L'”autonomia” <strong>della</strong> volontà è l'unico principio di ogni legge morale, e dei<br />

doveri a questa legge conformi: ogni “eteronomia” dell'arbitrio, per contro, non solo non<br />

fonda alcuna obbligatorietà, ma, anzi, è contraria al suo principio e alla moralità del volere.<br />

In altri termini, l'unico principio <strong>della</strong> moralità consiste nell'indipendenza da ogni materia<br />

<strong>della</strong> legge (cioè da un oggetto desiderato), e al tempo stesso, tuttavia, nella<br />

determinazione dell'arbitrio per mezzo <strong>della</strong> pura forma legislativa universale, di cui<br />

dev'esser capace una massima. Quell'”indipendenza” è dunque la libertà in senso<br />

“negativo”; questa “legislazione autonoma” <strong>della</strong> ragione pura, e come tale pratica, è libertà<br />

in senso “positivo”. Pertanto, la legge morale non esprime null'altro che l'”autonomia”<br />

<strong>della</strong> ragion pura pratica, cioè <strong>della</strong> libertà, e questa è anche senz'altro la condizione<br />

formale di tutte le massime, obbedendo alla quale soltanto esse possono accordarsi con la<br />

suprema legge pratica. Se, dunque, nella legge pratica si introduce, "come condizione <strong>della</strong><br />

sua possibilità", la materia del volere, che non può essere altro che l'oggetto di un desiderio<br />

- il quale oggetto viene collegato con la legge -, ne deriva un'eteronomia dell'arbitrio, e cioè<br />

una dipendenza dalla legge <strong>della</strong> natura, che spinge a obbedire a un qualche stimolo o<br />

inclinazione, e la volontà non si dà essa stessa la legge, ma solo le prescrizioni per obbedire<br />

in modo razionale a leggi patologiche. Però la massima, che in tal modo non può mai<br />

contenere in sé la forma universal<strong>mente</strong> legislatrice, non stabilisce per questa via nessuna<br />

obbligatorietà, ma è, anzi, in contrasto con il principio di una ragione pratica pura, e perciò<br />

anche con l'intenzione morale, quand'anche l'azione che ne nasce si trovasse ad essere<br />

esterior<strong>mente</strong> conforme alla legge.<br />

Nota 1. - Alla legge pratica, dunque, non va mai ascritta una prescrizione pratica che<br />

implichi una condizione materiale (e pertanto empirica). Infatti, la legge <strong>della</strong> pura<br />

volontà, cioè <strong>della</strong> volontà libera pone quest'ultima in una sfera total<strong>mente</strong> distinta<br />

dall'empirica; e la necessità che quella legge esprime, non potendo essere una necessità<br />

naturale, può dunque consistere solo in condizioni formali <strong>della</strong> possibilità di una legge in<br />

genere. Ogni materia di regole pratiche riposa sempre su condizioni soggettive, che non<br />

procurano, per gli esseri razionali, nessuna universalità che non sia quella semplice<strong>mente</strong><br />

condizionata (nel caso, cioè, che io “desideri” questo o quest'altro, che cosa io debba fare<br />

per realizzarlo), e ruotano sempre tutte intorno al principio <strong>della</strong> “propria felicità”. Ora,<br />

non si può certo negare che qualsiasi volere debba avere anche un oggetto, e, pertanto, una<br />

materia: ma non è detto, perciò, che questa sia senz'altro il motivo determinante e la<br />

condizione <strong>della</strong> massima. Se essa lo è, non la si può presentare in forma di legge<br />

universale, perché l'aspettazione dell'esistenza dell'oggetto verrebbe ad essere, allora, la<br />

causa che determina l'arbitrio, e a fondamento del volere si dovrebbe porre la dipendenza<br />

<strong>della</strong> facoltà di desiderare dall'esistenza di una qualche cosa: dipendenza che va cercata<br />

sempre soltanto in condizioni empiriche, e perciò non può mai fornire il fondamento di<br />

una regola necessaria e universale. Così, ad esempio, la felicità di altri esseri potrà essere<br />

l'oggetto <strong>della</strong> volontà di un essere razionale: ma se essa fosse il fondamento di<br />

determinazione <strong>della</strong> massima, si dovrebbe presumere, non soltanto che nel benessere<br />

altrui troviamo una naturale soddisfazione, ma anche che ne sentiamo un vero e proprio<br />

bisogno, come quello che suscita negli uomini il modo di sentire simpatetico. Ma codesto<br />

bisogno non lo posso presupporre in ogni essere razionale, e, comunque, non certa<strong>mente</strong><br />

in Dio. La materia <strong>della</strong> massima può dunque rimanere, ma essa non deve essere la sua<br />

condizione, altrimenti la massima non sarebbe adatta a costituire una legge. Dunque, la<br />

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