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CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente

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Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />

Essi derivano tutti dal principio <strong>della</strong> moralità, che non è un postulato, bensì una legge con<br />

cui la ragione determina immediata<strong>mente</strong> la volontà: la qual volontà, appunto perché è<br />

determinata così, come volontà pura, esige queste condizioni necessarie dell'osservanza di<br />

ciò che la legge prescrive. Tali postulati non sono dogmi teoretici, ma “presupposti”, di un<br />

punto di vista necessaria<strong>mente</strong> pratico: quindi, non ampliano la conoscenza speculativa,<br />

ma danno alle idee <strong>della</strong> ragione speculativa in generale (per mezzo del loro rapporto con i<br />

princìpi pratici) una realtà oggettiva, e autorizzano concetti di cui, altrimenti, non si<br />

potrebbe presumere di affermare neppure la possibilità.<br />

Questi postulati sono quelli dell'”immortalità”, <strong>della</strong> “libertà” considerata positiva<strong>mente</strong><br />

(come causalità di un essere in quanto appartenente al mondo intelligibile) e<br />

dell'”esistenza di Dio”. Il “primo” deriva dalla condizione pratica<strong>mente</strong> necessaria di una<br />

durata sufficiente a render perfetta l'esecuzione <strong>della</strong> legge morale; il “secondo”, dal<br />

necessario presupposto dell'indipendenza dal mondo sensibile, e <strong>della</strong> capacità di<br />

determinare la propria volontà secondo la legge di un mondo intelligibile, cioè secondo la<br />

libertà; il “terzo”, dalla necessità <strong>della</strong> condizione per un tal mondo intelligibile, perché<br />

possa essere il sommo bene, grazie al presupposto del sommo bene indipendente, cioè<br />

dell'esistenza di Dio.<br />

L'aspirazione al sommo bene, resa necessaria dalla legge morale, con il presupposto che ne<br />

scaturisce <strong>della</strong> realtà oggettiva di esso, conduce dunque, attraverso postulati <strong>della</strong> ragion<br />

pratica, a concetti che la ragione speculativa poteva, bensì, proporre come problemi, ma<br />

senza darne la soluzione. 1) Essa conduce al problema per la cui soluzione la ragione<br />

speculativa non poteva altro che formare “paralogismi” (e, cioè, il problema<br />

dell'immortalità), non disponendo essa di quel carattere <strong>della</strong> persistenza che avrebbe<br />

permesso di completare il concetto psicologico di un soggetto ultimo, attribuito<br />

necessaria<strong>mente</strong> all'anima nell'autocoscienza, e di formare la rappresentazione reale di<br />

una sostanza. Ciò vien procurato dalla ragion pratica, mediante il postulato di una durata<br />

indispensabile per adeguarsi alla legge morale nel sommo bene, come scopo totale <strong>della</strong><br />

ragion pratica. 2) Conduce a ciò per cui la ragione speculativa non cavava altro che<br />

un'”antinomia”, la cui soluzione essa non poteva fondare se non su un concetto<br />

problematico, pensabile bensì, ma senza che se ne potesse dimostrare e determinare per lei<br />

la realtà oggettiva: e, cioè, l'idea “cosmologica” di un mondo intelligibile, e la<br />

consapevolezza del nostro esistere in esso, mediante il postulato <strong>della</strong> libertà (la cui realtà<br />

essa mostra mediante la legge morale; e con questa, al tempo stesso, la legge di un mondo<br />

intelligibile, a cui la ragion speculativa poteva accennare, senza però determinarne il<br />

concetto). 3) Essa dà significato a ciò che la ragione speculativa poteva bensì pensare, ma<br />

doveva lasciare indeterminato come semplice “ideale” trascendentale: al concetto<br />

“teologico” dell'essere originario, come principio supremo del sommo bene in un mondo<br />

intelligibile, mediante una legislazione morale che ha giurisdizione in esso. Essa gli dà<br />

significato dal punto di vista pratico, cioè come condizione <strong>della</strong> possibilità dell'oggetto di<br />

una volontà determinata dalla legge morale.<br />

La nostra conoscenza viene ora effettiva<strong>mente</strong> ampliata, in questo modo, dalla ragion pura<br />

pratica, e si può dire che ciò che per la ragion speculativa era “trascendente”, nella pratica<br />

sia “immanente”? Certo, ma “solo dal punto di vista pratico”. Perché con ciò noi non<br />

conosciamo, né la natura <strong>della</strong> nostra anima, né il mondo intelligibile, né l'Essere supremo,<br />

in ciò che essi sono in se stessi, ma abbiamo solo riunito il loro concetto nel concetto<br />

“pratico del sommo bene”, come oggetto <strong>della</strong> nostra volontà: e, questo, del tutto a priori,<br />

mediante la ragion pura, ma solo in virtù <strong>della</strong> legge morale, e anche solo in rapporto ad<br />

essa, in vista dell'oggetto che essa comanda. Come, però, sia possibile la libertà, e come ci<br />

si debba rappresentare teoretica<strong>mente</strong> e positiva<strong>mente</strong> tale specie di causalità, con ciò non<br />

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