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CRITICA DELLA RAGION PRATICA - Sentieri della mente

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Immanuel Kant – Critica <strong>della</strong> ragion pratica<br />

con Leibniz, "automaton spirituale", perché il meccanismo è azionato da rappresentazioni.<br />

E se la libertà del nostro volere non foss'altro che questa (cioè libertà psicologica e<br />

comparativa, non trascendentale o assoluta), in fondo, essa non sarebbe niente di meglio<br />

che la libertà di un girarrosto, che anch'esso, una volta montato, produce da sé il suo<br />

movimento<br />

Per eliminare, dunque, nel caso proposto, l'apparente contraddizione tra meccanismo<br />

naturale e libertà in una medesima azione, occorre ricordare ciò che è stato detto nella<br />

Critica <strong>della</strong> ragion pura, o ciò che ne consegue: la necessità naturale, che non può<br />

coesistere con la libertà del soggetto, inerisce solo alle determinazioni di quella cosa che si<br />

trova sottoposta alla condizione del tempo: alle determinazioni, dunque, del soggetto che<br />

agisce come fenomeno, in quanto i fondamenti <strong>della</strong> determinazione di ogni sua azione si<br />

trovano in ciò che è accaduto nel tempo passato, che “non si trova più in suo potere” (e in<br />

ciò rientrano anche le sue azioni passate, e il carattere che esse hanno determinato ai suoi<br />

occhi, come fenomeno). Ma questo medesimo soggetto, che, per un altro verso, è<br />

consapevole di essere anche una cosa in sé, considera altresì la sua esistenza in quanto non<br />

sottoposta alle condizioni del tempo, e se medesimo come determinabile solo mediante<br />

leggi che esso stesso si dà, con la sua ragione. In questo genere di esistenza, nulla precede<br />

la determinazione <strong>della</strong> sua volontà, ma ciascuna azione, e, in generale, ogni<br />

determinazione <strong>della</strong> sua esistenza variante secondo il senso interno, e la stessa serie<br />

integrale <strong>della</strong> sua esistenza come essere sensibile, va considerata, nella coscienza <strong>della</strong> sua<br />

esistenza intelligibile, come null'altro che conseguenza, e mai come fondamento di<br />

determinazione, <strong>della</strong> sua causalità, come “noumeno”. Sotto questo riguardo, di qualsiasi<br />

sua azione contro la legge, per quanto sufficiente<strong>mente</strong> determinata come fenomeno nel<br />

passato, e come tale inevitabil<strong>mente</strong> necessaria, un essere razionale può sempre dire, a<br />

ragione, che avrebbe potuto non compierla: perché essa, con tutto ciò che l'ha preceduta e<br />

che la determina, appartiene unica<strong>mente</strong> al fenomeno del suo carattere, che egli si è dato, e<br />

secondo il quale egli come causa indipendente da ogni sensibilità, si attribuisce la causalità<br />

di quei fenomeni stessi.<br />

Con ciò concordano anche perfetta<strong>mente</strong> le sentenze di quella meravigliosa facoltà in noi<br />

che chiamiamo “coscienza”. Una persona può arzigogolare quanto vuole, per dipingersi un<br />

comportamento contro la legge, di cui si ricorda, come una svista involontaria, come una<br />

semplice mancanza di cautela, che mai si può evitare del tutto; e, quindi, come qualcosa in<br />

cui egli sarebbe stato trascinato dalla corrente <strong>della</strong> necessità naturale, in modo da<br />

dichiararsene incolpevole tuttavia egli trova che l'avvocato, che parla in suo favore, non<br />

riesce in nessun modo a ridurre al silenzio l'accusatore in lui, se soltanto egli è conscio di<br />

essere stato in senno, cioè in possesso <strong>della</strong> sua libertà, nel momento in cui commetteva<br />

l'ingiustizia; e se anche egli si “spiega” la sua mancanza come conseguenza di una certa<br />

cattiva abitudine, che egli, trascurando via via di badarvi, ha lasciato che si insinuasse in<br />

lui, fino al punto che il suo comportamento può considerarsene come una conseguenza<br />

naturale, ciò tuttavia non lo mette al sicuro dal biasimo e dal richiamo che egli rivolge a se<br />

stesso. Su ciò si fonda anche il “pentimento” per azioni anche compiute da molto tempo,<br />

ogni volta che se ne risvegli il ricordo: una sensazione dolorosa, posta in essere<br />

dall'intenzione morale, e vuota pratica<strong>mente</strong> nel senso che non può servire a rendere il<br />

fatto non avvenuto. Essa sarebbe addirittura del tutto fuor di luogo (quale la dichiara il<br />

Priestley, come genuino e conseguente “fatalista”, che, per questa sua schiettezza, merita<br />

ben maggiore approvazione di coloro che, affermando a parole la libertà del volere, e coi<br />

fatti la sua meccanicità vorrebbero pur sempre far credere di includere la libertà nel loro<br />

sincretistico sistema, pur senza che si capisca come sia possibile attribuire loro un tale<br />

pensiero); e tuttavia, come dolore, è perfetta<strong>mente</strong> giustificato, perché la ragione, quando<br />

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