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Terzo concorso Il Volo di Pègaso - Istituto Superiore di Sanità

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Nel frattempo in paese si era sparsa la notizia che Marco si era allontanato da casa e tutti gli abitanti,<br />

solidali con i genitori, cominciarono a cercarlo. Mentre il Burbero vestiva Marco, giunsero i<br />

genitori con altri amici del paese e si resero conto, per come il Burbero si stava prendendo cura<br />

del bambino, che l’opinione che si erano costruita su <strong>di</strong> lui era completamente sbagliata.<br />

Fu organizzata una festa, una grande festa de<strong>di</strong>cata al ritorno del Burbero tra i suoi paesani.<br />

Durante la festa che si svolse nella piazza del paese, il Burbero svelò il suo segreto: i due fantasmi<br />

del castello erano i suoi genitori. La festa si fermò, i balli e la musica fecero posto al racconto<br />

della storia del Burbero. Tanto tempo prima suo padre, che era il Re dell’isola, durante una<br />

invasione <strong>di</strong> pirati venne ucciso insieme alla madre. Lui, anche se molto piccolo, capì il pericolo<br />

e si nascose in un sotterraneo del castello, riuscendo così a salvarsi. Dopo alcuni giorni l’isola<br />

rimase <strong>di</strong>sabitata poiché gli abitanti spaventati dai pirati scapparono via lasciandolo solo. Per<br />

alcuni anni fu l’unico abitante dell’isola, cresceva in mezzo ai boschi, mangiava ciò che riusciva a<br />

trovare, si vestiva come poteva. Poco per volta cominciarono ad approdare sull’isola dei pescatori,<br />

che via via presero a costruire le loro case sulla costa.<br />

La presenza <strong>di</strong> questi sconosciuti sull’isola aumentò la sua paura e non ebbe mai il coraggio <strong>di</strong><br />

scendere in paese. Si chiuse in se sempre più, coltivando i suoi ricor<strong>di</strong>, belli o tragici che fossero,<br />

ma sempre da solo.<br />

Gli abitanti dell’isola, dopo avere ascoltato questo racconto, rimasero profondamente commossi.<br />

Furono tutti concor<strong>di</strong> nel proclamarlo Principe dell’isola, gli promisero che con i guadagni della<br />

pesca avrebbero ricostruito il castello e lo avrebbero fatto ritornare a vivere da principe.<br />

<strong>Il</strong> Principe volle esprimere un desiderio, che era quello che i bambini non si scordassero più <strong>di</strong> lui,<br />

che lo aiutassero a ritrovare la sua infanzia e che sopratutto continuassero a giocare nel castello.<br />

S1/41 Le note del cigno bianco<br />

Daniele CANNIZZARO<br />

Ne era certo.<br />

Quell’armonica sintonia <strong>di</strong> note sacre e soavi sarebbe stata la sua perpetua e preziosa compagnia,<br />

nel marciare verso l’estremo varco. Quei violini, quelle viole, quei violoncelli, quegli archi e quei<br />

fl auti componevano graziosi, come trame <strong>di</strong> un tessuto penta grammatico, la veste ritmata che<br />

non l’avrebbe lasciato nudo, scoperto al gelo dell’estremo porto.<br />

La musica.<br />

Soltanto lei e soltanto le sue sette madri avevano tenuemente voluto con<strong>di</strong>videre con lui, un<br />

ragazzo tanto strano, tanto grasso, così <strong>di</strong>verso, così stupido, il nobile sentimento dell’amicizia.<br />

Egli aveva provato tra gli uomini e tra le donne, tra i suoi compagni e tra le sue compagne, a<br />

trovare quello che ogni giorno, ogni pomeriggio trovava seduto al pianoforte, strimpellando,<br />

giocando e forgiando dalla variegata follia della sua mente, brani e sequenze <strong>di</strong> plurima potenza<br />

e singolare grazia.<br />

Ma tutti quegli esseri viventi, in particolar modo, quegli uomini alti vestiti <strong>di</strong> bianco, con le<br />

penne nel taschino del camice, tanto interessati a stare con lui, a parlare con lui, nella loro<br />

moltitu<strong>di</strong>ne, che trascendeva <strong>di</strong> gran lunga l’esiguità delle note musicali, nel loro vociare, nel loro<br />

<strong>di</strong>scutere e nel loro sentirsi normali, parevano non comprenderlo, parevano mostrarlo stonato<br />

alla melo<strong>di</strong>a <strong>di</strong> ogni teoria scientifi ca e me<strong>di</strong>ca.<br />

Così il ragazzo in compagnia della solitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> soleggiati e lunghi pomeriggi estivi e tenebrose<br />

e corte mattine invernali, aveva imparato a non ascoltare le mal<strong>di</strong>cenze dei suoi coetanei che tra<br />

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