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Terzo concorso Il Volo di Pègaso - Istituto Superiore di Sanità

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Mamma e papà ne sanno meno <strong>di</strong> lei e neanche l’accompagnano, non sanno cosa fare. E così, la<br />

bambina cioè io, Marinella, <strong>di</strong>vento adulta. Con un mistero che duole a destra, nella mano e fa<br />

parte <strong>di</strong> me come i tanti ‘perché’ senza risposte della vita. Ma questo è un mistero tutto mio. Per<br />

quanto ne so, nessuno al mondo è come me.<br />

La conferma è che quando il dolore, crescendo io, cresce anch’esso e mi tormenta in modo più<br />

pressante, ben poco sanno fare i vari primari chirurghi e professori cui torno a rivolgermi.<br />

Di ‘dritta’ in ‘dritta’ giro per l’Italia, vado in Francia, passo le soglie <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> e <strong>di</strong> ospedali. Qua e<br />

là tamponano la situazione, ma non trovo soluzione e l’ischemia che ormai mi attanaglia la mano<br />

peggiora. Una sequela <strong>di</strong> speranze e delusioni. Un mattino, quando sono lì pronta a entrare in<br />

sala operatoria, arriva il chirurgo e mi confessa <strong>di</strong> aver ‘stu<strong>di</strong>ato’ tutta la notte e <strong>di</strong> non sentirsi in<br />

grado <strong>di</strong> eff ettuare l’intervento. ‘Trattiamo’ e mi asporta solo un’unghia e questo, intanto, attenua<br />

la soff erenza.<br />

La vita ha il suo orologio ed io ero come tutte le altre ragazze, incalzata da sogni e aspettative.<br />

Non ero solo ‘una mano’, e desideravo l’amore, dei fi gli, una famiglia tutta mia. Accadde che mi<br />

innamorai e sembrò che tutto si avverasse: <strong>di</strong>ventai mamma, sentii il corpicino <strong>di</strong> mio fi glio sulla<br />

pelle del mio petto.<br />

Quin<strong>di</strong>ci giorni. Solo due settimane perché il mio quadro perfetto <strong>di</strong> felicità scoppiasse.<br />

La malattia rara che mi porto addosso, anzi che ‘mi scorre nelle vene’, non lo sapevo, ma può<br />

essere particolarmente crudele con le mamme. Cellule embrionali, annidate nel sistema vascolare,<br />

che scoprirò essere la causa del braccio più lungo e <strong>di</strong> tutte le vene che mi alterano la mano, si<br />

moltiplicarono tumultuosamente con la gravidanza e dopo pochi giorni dal parto non ero più in<br />

grado <strong>di</strong> sostenere tra le braccia il mio bambino. <strong>Il</strong> dolore era <strong>di</strong>ventato insostenibile.<br />

La solitu<strong>di</strong>ne mi arrivò <strong>di</strong> nuovo addosso come uno schiaff o da farti girare su te stessa: il padre <strong>di</strong><br />

mio fi glio non riusciva a tollerare il mio dolore, così mi voltò le spalle e se ne andò. Io fui costretta<br />

ad affi dare il neonato a mia madre per sperimentare un nuovo ricovero.<br />

L’ospedale, dove fi nalmente avrei saputo da che patologia sono aff etta e avrei scoperto <strong>di</strong> non<br />

essere l’unica al mondo ad esserlo, è un vecchio sanatorio che sorge in mezzo agli alberi. <strong>Il</strong> reparto<br />

che mi accolse, da questo momento in poi <strong>di</strong>venterà sempre più la mia seconda casa.<br />

Anzi, col passare degli anni e i ricoveri, è <strong>di</strong>ventato il mio vero mondo, dove non sono <strong>di</strong>versa e<br />

incontro comprensione e con<strong>di</strong>visione. Allora me ne servì proprio tanta <strong>di</strong> comprensione, perché<br />

il fi glio che avevo così fortemente desiderato sarei stata costretta a vederlo solo nei fi ne settimana.<br />

Per la prima volta ero nelle mani <strong>di</strong> un chirurgo, che sapeva cos’avevo e aveva già aff rontato altri<br />

casi <strong>di</strong>ffi cili. Voleva salvarmi la mano a ogni costo anche se era veramente troppo tar<strong>di</strong> per poterlo<br />

fare. Così per qualche mese entrai e uscii innumerevoli volte dalla sala operatoria, nella speranza<br />

del miracolo. Ma fu tutto inutile e arrivò la prima amputazione. Quella volta al risveglio, le mie<br />

<strong>di</strong>ta non c’erano più.<br />

Ci vogliono amore e dolcezza infi niti per superare un trauma così, che ti piomba addosso come<br />

un macigno a schiacciarne tanti altri, stipati strato su strato dentro l’anima. E amore e dolcezza<br />

li incontrai nella caposala, oltre che in tutti intorno a me. Ma lei si sedeva silenziosa accanto a<br />

me e mi teneva l’unica mano rimasta. E attraverso quel contatto mi arrivava una con<strong>di</strong>visione<br />

preziosa. Totale. Che poco alla volta si faceva strada nel mio dolore, sciogliendo il ghiaccio che<br />

mi impe<strong>di</strong>va anche <strong>di</strong> pensare. Da allora è <strong>di</strong>ventata il mio sostegno speciale.<br />

Anche quando, tornata fi nalmente a casa, avrei voluto <strong>di</strong>menticare tutto e riprendermi la mia vita,<br />

non mi avrebbe abbandonato. Teneva lei il conto dei miei controlli e mi telefonava pazientemente<br />

anche più volte perché avessi cura <strong>di</strong> me. Me la sarei trovata vicina, per fortuna, anche quando<br />

arrivò il peggio. Perché si può andare più a fondo <strong>di</strong> quanto profondo abbiamo creduto il fondo.<br />

Ero arrivata un’altra volta a sfi orare la normalità, la felicità alla portata <strong>di</strong> tutti: un nuovo compagno,<br />

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