Terzo concorso Il Volo di Pègaso - Istituto Superiore di Sanità
Terzo concorso Il Volo di Pègaso - Istituto Superiore di Sanità
Terzo concorso Il Volo di Pègaso - Istituto Superiore di Sanità
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
90<br />
ancora una gravidanza. Ma l’angio<strong>di</strong>splasia, ‘il mostro’, come la chiamiamo scherzando noi<br />
‘ragazzi <strong>di</strong> angio’, intervenne subito a chiarire chi era. In pochi giorni persi nuovamente tutto e<br />
<strong>di</strong> più: ad<strong>di</strong>o gravidanza, ad<strong>di</strong>o compagno e stavolta ad<strong>di</strong>o mano.<br />
Oggi, a quarantotto anni, voglio molto bene al mio mezzo braccio che non c’è. E, tra vari rischi<br />
ed emergenze, coccolo con continui trattamenti, interventi e me<strong>di</strong>cazioni quanto ne resta.<br />
Non sopporto l’idea <strong>di</strong> una protesi, così, solo per non ‘<strong>di</strong>sturbare’ la sensibilità altrui, lo mimetizzo<br />
<strong>di</strong>etro la borsa; a tavola lo poggio sulle ginocchia o lo nascondo tra i capelli che son sempre bion<strong>di</strong><br />
e porto lunghi. Sono una madre single, la mia vita me la organizzo da me, viaggio guidando la mia<br />
macchina, lavoro, ho la mia casa e mio fi glio che adoro. Ma la spavalderia che mi contrassegna,<br />
non mi fa ignorare il vuoto dove fi nisce la manica, né mi <strong>di</strong>fende a pieno dall’imbarazzo <strong>di</strong> chi<br />
mi guarda o dal mio nel dare spiegazioni.<br />
Ormai, intervento dopo intervento, (tante volte da chiamare la sala operatoria ‘sala giochi’),<br />
emergenza dopo emergenza, (che magari sono io a dover a prendere in mano la situazione, a<br />
vincere la paura e dare istruzioni agli infermieri dell’ambulanza che mi porta al pronto soccorso),<br />
per me non c’è luogo in cui sentirmi più a mio agio che il reparto.<br />
Qui trovo i miei veri amici, che arrivano da tutta Italia. Quelli come me, i ragazzi <strong>di</strong> angio,<br />
quelli che ‘ci si rivede’ più volte all’anno. Insieme, in ospedale, mastichiamo paura e pizza che ci<br />
facciamo portare da fuori. Qui possiamo ridere ‘tra pari ‘ dell’arto che ti manca o ti stanno per<br />
amputare, degli organi che non ti funzionano perché la malattia te li stritola, della morfi na con<br />
cui sei costretto a drogarti per sopportare il dolore, dell’alcol che ti mandano su nelle vene per<br />
chiudere i circuiti in più creati dall’angio e che è proprio alcol vero, che qualcuno preferirebbe<br />
bere e che a quelli astemi crea problemi…<br />
Ci si può raccontare tutto e stemperare l’ansia sul presente e sul futuro. Non ci si sente più così<br />
terribilmente unici, soli, <strong>di</strong>versi, rari. È il mondo a parte dei ragazzi <strong>di</strong> angio. Anzi lo era, perché<br />
quelli che sono ‘fuori’ non ne hanno compreso l’importanza e il nostro reparto è stato smembrato<br />
e svuotato <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ci e personale. Ma io spero. È una pretesa eccessiva la mia? Ci restituiranno il<br />
nostro prezioso mondo a parte?<br />
S1/44 <strong>Il</strong> silenzio del cuore<br />
Letizia REGONINI<br />
Quel bambino nella culla eri tu, eri il mio bambino.<br />
I piccoli dalmata sorridevano dalle lenzuola sotto il vetro che ci separava, ma tu no. Tu non<br />
sorridevi: eri serio e impettito con tutti quei tubi e quei bip-bip che ti sovrastavano.<br />
Tre ore <strong>di</strong> vita e una montagna da scalare, mentre ti guardavo cercando <strong>di</strong> capire a chi potessi<br />
somigliare, mi chiedevo come può essere giustizia questa.<br />
<strong>Il</strong> tuo papà vedeva solo quanto tu fossi bello ma io, pur essendo innamorata <strong>di</strong> te, mi soff ermavo<br />
troppo su quegli occhietti obliqui, su quel salsicciotto sul collo e su quella pancia, così gonfi a e<br />
così strana.<br />
<strong>Il</strong> camice sterile mi toglieva il fi ato e i punti <strong>di</strong> sutura del parto mi facevano male, ma non volevo<br />
lasciarti; quella termoculla che ti abbracciava al posto mio non poteva fermare l’amore che avevo<br />
bisogno <strong>di</strong> trasmetterti.<br />
C’era un silenzio irreale in quella sala eppure le infermiere parlavano: <strong>di</strong> terapie, <strong>di</strong> pannolini da<br />
sostituire e delle vacanze imminenti da organizzare.