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Terzo concorso Il Volo di Pègaso - Istituto Superiore di Sanità

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Durante tutto questo tempo avevano vissuto uno accanto all’altro senza mai riuscire a stabilire un<br />

vero rapporto <strong>di</strong> complicità, <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione, <strong>di</strong> unità d’intenti, ma, mentre Elio pareva appagato<br />

e felice <strong>di</strong> quella situazione, a lei tutto sembrava precario e instabile ed era sempre in continua<br />

attesa che la vita, quella vera, cominciasse.<br />

Non poteva pensare che la vita, quella che stava vivendo e quella che fi no ad allora aveva vissuto,<br />

fosse soltanto un continuo susseguirsi <strong>di</strong> giornate sempre <strong>di</strong>verse ma sempre tremendamente e<br />

insopportabilmente uguali. Non voleva credere che quella fosse felicità: ne sarebbe rimasta molto<br />

delusa. La felicità non poteva, non doveva essere un semplice sapersi accontentare <strong>di</strong> niente. E<br />

aveva ragione.<br />

Elisa aveva provato il sapore dell’autentica felicità quando aveva saputo <strong>di</strong> essere in attesa <strong>di</strong><br />

un bambino. Un bambino. Da tanto tempo lei ed Elio desideravano avere un bambino e ora<br />

fi nalmente, quando ormai la speranza stava per spegnersi, il loro unico sogno comune si stava<br />

realizzando.<br />

Per nove lunghi ma dolcissimi mesi entrambi trascorrevano le giornate a immaginare il futuro,<br />

a fare infi niti progetti, a costruire castelli in aria, a preparare minuziosamente tutto per il lieto<br />

evento.<br />

Ma l’evento non era stato aff atto lieto e il castello, fatto <strong>di</strong> sogni, speranze, illusioni, era<br />

inesorabilmente crollato ai loro pie<strong>di</strong> sotto il frastuono <strong>di</strong> un terremoto <strong>di</strong> dolore. <strong>Il</strong> bambino,<br />

anzi, la bambina era nata con una terribile malattia congenita, il morbo <strong>di</strong> Cooley, che avrebbe<br />

inciso notevolmente sul suo sviluppo psicofi sico e non le avrebbe consentito la sopravvivenza<br />

fi no all’età adulta.<br />

Prima che nascesse, <strong>di</strong> comune accordo, lei ed Elio, avevano deciso <strong>di</strong> chiamarla Alice, se si fosse<br />

trattato <strong>di</strong> una femmina, e così era stato, pur nella tristissima consapevolezza che la vita della loro<br />

bimba sarebbe stata tutt’altro che una fi aba e che il futuro che le era stato riservato non avrebbe<br />

avuto niente <strong>di</strong> meraviglioso.<br />

Alice era una splen<strong>di</strong>da bambina con la carnagione chiara, i capelli nerissimi e gli occhietti vispi<br />

che parevano <strong>di</strong>re “io sono qui, vogliatemi bene comunque e prendetevi cura <strong>di</strong> me”.<br />

Elisa la guardava per ore, mentre dormiva, le prendeva la manina can<strong>di</strong>da, le parlava e, anche se<br />

soltanto per pochissimi istanti, <strong>di</strong>menticava o meglio, non pensava ai problemi e alle <strong>di</strong>ffi coltà<br />

che presto, molto presto si sarebbero presentati e tanti.<br />

Correre da uno specialista all’altro nella speranza <strong>di</strong> una <strong>di</strong>agnosi meno infausta non aveva<br />

dato i risultati sperati; consultare decine e decine <strong>di</strong> testi specifi ci nell’infondata illusione <strong>di</strong><br />

trovarvi una frase, una parola, una virgola che accendesse un barlume <strong>di</strong> luce, non era servito<br />

assolutamente a niente. Avrebbero dovuto rassegnarsi ad accettare l’infelice situazione. E lei, pur<br />

non rassegnandosi mai, suo malgrado aveva accettato la situazione, ma era stata la sola.<br />

Elio era una persona troppo debole per poter sopportare a lungo quel continuo, inesorabile strazio<br />

<strong>di</strong> vedere la sua dolcissima Alice condannata a morte senza aver assolutamente fatto nulla per<br />

meritarlo; amava ancora tanto la sua adorata Elisa per sopportare <strong>di</strong> vederla svuotarsi giorno dopo<br />

giorno. Si sentiva non soltanto incapace <strong>di</strong> resistere a tanto dolore, ma aveva come la sensazione<br />

<strong>di</strong> rappresentare un ostacolo, un <strong>di</strong>sturbo per quelle due donne che rappresentavano tutto per lui.<br />

“Devo andare a lavorare fuori, non sarà per troppo tempo...”<br />

Aveva preferito fuggire, togliersi da mezzo, liberare il campo. Non era stato un modo per sfuggire<br />

alle responsabilità il suo, come molti avevano pensato, ma anzi, al contrario, era stato un gesto<br />

<strong>di</strong> incommensurabile amore e <strong>di</strong> incre<strong>di</strong>bile altruismo: l’aveva compreso soltanto Elsa che aveva<br />

imparato a conoscere molto bene suo marito.<br />

Ora che erano sole lei, come già faceva da anni, poteva de<strong>di</strong>carsi solo ed esclusivamente alla sua<br />

sfortunata bambina.<br />

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