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Terzo concorso Il Volo di Pègaso - Istituto Superiore di Sanità

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proponevano. Anche quella sera, dopo aver visto uno spettacolo <strong>di</strong> musica e ballerine colorate, si era<br />

chiusa nella camera, ma non del tutto. La madre, ogni volta, le chiedeva: “Lascia la porta socchiusa,<br />

mi raccomando”. E poi: “Buonanotte, amore, a domani”. Si sentiva prigioniera <strong>di</strong> una paura che c’è,<br />

ma che non ve<strong>di</strong>. Non aveva dubbi che la madre l’amasse, almeno nel modo in cui credeva <strong>di</strong> darle<br />

il sentimento. Non aveva dubbi, ma Gioia desiderava qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso, e le bolliva dentro. Non<br />

riusciva, però, a esternare il proprio fermento interiore: aveva certo timore <strong>di</strong> ferire la madre che era<br />

de<strong>di</strong>ta a lei, incessantemente. <strong>Il</strong> padre viveva nel mondo del silenzio e parlava solo con gli sguar<strong>di</strong>.<br />

Entrata nella camera pacatamente illuminata, aveva desiderato guardarsi allo specchio: le accadeva<br />

sempre. Si toccò con i polpastrelli le guance, si sfi orò le palpebre abbassate sugli occhi, la fronte<br />

e l’attaccatura dei capelli. Com’erano i suoi capelli? Come le stavano intorno al viso? La madre,<br />

da tre anni, non permetteva più che si allungassero e Gioia poteva soltanto sentirseli al tatto. Si<br />

sedette sulla coperta del letto ancora intatto e, con la punta delle tre <strong>di</strong>ta della mano, unite e<br />

<strong>di</strong>stese, si sfi orò le labbra: erano carnose, ma lei le sentì secche e sfi orite.<br />

“Quanto vorrei guardarmi a uno specchio!”, pensò forte, tanto che volse lo sguardo intorno con<br />

la paura che qualcuno avesse potuto sentirla. Aveva provato a cercare la propria immagine rifl essa<br />

nei vetri delle fi nestre, ma anche quelli, tre anni prima, la madre li aveva fatti cambiare con altri<br />

opachi, in tutto l’appartamento. Andò nel suo bagno, anche quello privo <strong>di</strong> specchio (in quello<br />

dei genitori ce n’era uno, ma era nascosto!). Si preparò per la notte e s’infi lò sotto le coperte.<br />

“Stasera sarà una sera <strong>di</strong>versa”, si promise e si rialzò. A pie<strong>di</strong> scalzi, Gioia si avvicinò alla fi nestra,<br />

con gesti lenti, per non far rumore, e tirò le tende a righe arancio e verde; erano <strong>di</strong> tessuto pesante<br />

in modo che nulla <strong>di</strong> esterno <strong>di</strong>sturbasse il sonno della ragazza. Scelte da sua madre, come la<br />

piccola lampada sul como<strong>di</strong>no, dalla fl ebile luce, come i mobili in legno laccato <strong>di</strong> bianco, i<br />

tappeti <strong>di</strong> lana verde, e l’assenza <strong>di</strong> specchi sulle pareti della stanza. Da quando Gioia era capitata<br />

su questa terra, mai aveva fatto una scelta per la propria esistenza. Mai.<br />

Le tende, a righe arancio e verde, ormai tirate, Gioia mise la mano destra sulla maniglia <strong>di</strong> ottone<br />

della fi nestra, la girò e, senza aprirla completamente, come a rubare il primo alito <strong>di</strong> brezza<br />

notturna, mise il naso nello spiraglio.<br />

“Com’è buono l’odore della notte!” Si sentiva libera pensandolo e, stando attenta a non far il più<br />

piccolo rumore, spalancò tutti e due i vetri e le persiane <strong>di</strong> legno.<br />

<strong>Il</strong> condominio si trovava in una strada non molto traffi cata e solo un brusio <strong>di</strong> auto che<br />

viaggiavano nella notte urbana, si avvertiva lontano. Gioia si immaginò nel traffi co: dove avrebbe<br />

voluto scegliere <strong>di</strong> andare? Non sapeva rispondere. Distolse il pensiero e portò lo sguardo verso<br />

il cielo: la luminosità della città non lasciava vedere le stelle, eppure c’erano, lei lo sapeva. E c’era<br />

anche la luna, un quarto <strong>di</strong> luna attaccata al buio.<br />

Maggio stava fi nendo e l’aria era già tiepida: Gioia chiuse gli occhi e cercò qualcosa da desiderare.<br />

Fermò il respiro e, in ascolto <strong>di</strong> sé, trovò il silenzio assoluto. Anche il brusio del traffi co in<br />

lontananza non esisteva più. Riaprì lo sguardo con il viso rivolto ancora verso il cielo e il quarto<br />

<strong>di</strong> luna ricevette il suo messaggio.<br />

“Vorrei essere come te, con l’assenza <strong>di</strong> suoni e immagini che infrangono la bellezza assoluta che sta<br />

in ognuno <strong>di</strong> noi. Vorrei essere te, che puoi camminare attraverso lo spazio supremo e passare sui<br />

laghi e sui fi umi, sui mari e gli oceani, e come te vorrei fare <strong>di</strong> loro il mio specchio, per toccare la<br />

realtà che nessuno mi permette <strong>di</strong> toccare. Vorrei...” Non le venne altro da chiedere e una lacrima<br />

seguì un’altra lacrima, e un’altra ancora, fi no a che il volto fu coperto <strong>di</strong> pianto. Tornò verso il<br />

letto, si sedette e calcolò se, da lì, avrebbe potuto continuare a seguire la luna nel viaggio notturno.<br />

Poteva.<br />

Le ciabatte <strong>di</strong> spugna le aveva già tolte per andare alla fi nestra: scelte, per lei, dalla madre, intonate<br />

alla vestaglia verde, che richiamava il colore delle tende, che erano in tinta con la coperta e le

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