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Terzo concorso Il Volo di Pègaso - Istituto Superiore di Sanità

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62<br />

d’acqua? Niente. Mi guardano, stanno parlottando tra <strong>di</strong> loro ed io credo <strong>di</strong> sentire: guarda come<br />

è conciata, sarà il tumore allo sta<strong>di</strong>o avanzato. Come è magra. Sì, sì magari ha l’AIDS, che vuoi è<br />

sempre una straniera. Ed io, tra me e me penso: sì, straniera per sempre anche se vivo qui da oltre<br />

15 anni. Ma da brava non <strong>di</strong>co niente, me ne vado a casa con la mia bambina che mi guarda con<br />

la coda dell’occhio ed io sento che è spaventata.<br />

La <strong>di</strong>sperazione.<br />

Senso <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione. Bisogno <strong>di</strong> aiuto. Portami all’ospedale. 3 o 4 ricoveri inutili, trattata da<br />

isterica pigra, defi nita ipocondriaca, anoressica. Ah, ah signora mia le giovani donne al giorno<br />

d’oggi non valgono niente, si fanno portare in carrozzina perché non hanno voglia <strong>di</strong> camminare.<br />

L’infermiera, scocciata, a momenti mi fa cadere perché non sopporta l’idea che io non cammini.<br />

Tutte le buche del percorso sono mie. Ma io, da brava, non <strong>di</strong>co nulla, sto zitta e mi <strong>di</strong>co: che<br />

scema che sei, pensavi <strong>di</strong> trovare aiuto.<br />

La <strong>di</strong>agnosi.<br />

Dimessa dopo vari ricoveri, dopo aver sperimentato il razzismo <strong>di</strong> un me<strong>di</strong>co, ritorno a casa e<br />

sto sempre peggio, ma siccome “non ho niente” decido <strong>di</strong> curare la mia improbabile anoressia/<br />

depressione/malattia nervosa. Prendo le Pagine Gialle e scelgo a caso il nome <strong>di</strong> un me<strong>di</strong>co. Mi<br />

riceve il giorno stesso, è gentile, mi ascolta e mi chiede se mi può visitare. Sì, la prego, mi visiti.<br />

Mi aiuti. Dopo pochi minuti chiede che mio marito entri e gli <strong>di</strong>ce: <strong>di</strong> corsa all’ospedale, non<br />

passate neanche da casa, sua moglie sta morendo, l’anoressia non c’entra niente, questo è Morbo<br />

<strong>di</strong> Ad<strong>di</strong>son! Ed io fi nalmente <strong>di</strong>co: grazie.<br />

S1/30 “Profumo” (lotta per la sindrome <strong>di</strong> Kawasaki)<br />

Sabrina MERENDA<br />

Non poteva vedermi, casomai, se dotata <strong>di</strong> un olfatto sviluppato, poteva riuscire a sentire il mio<br />

odore; un misto <strong>di</strong> lavanda e <strong>di</strong> pelle stropicciata; saporoso come il sale ed intenso come l’aroma<br />

dello zucchero fi lato. <strong>Il</strong> profumo, solo quello, mi portavo <strong>di</strong>etro: ombra <strong>di</strong>screta che mi ricordava<br />

ancora da dove venivo e chi ero stato; chi avevo amato con tutto me stesso; quali giochi mi era<br />

piaciuto fare;quali storie mi ero <strong>di</strong>lettato ad ascoltare;quanti baci avevano bagnato la mia tenera<br />

pelle. Avevo invece scordato il dolore, il <strong>di</strong>stacco dalla vita, l’impossibilità <strong>di</strong> andare a scuola e<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare grande. Nella mia nuova <strong>di</strong>mensione, ricordavo solo ciò che mi aveva reso felice.<br />

Sì, proprio come quando vagavo nell’acqua vaporosa del ventre <strong>di</strong> mia madre, ora mi trovavo<br />

avvolto in una nebbia amica, in un silenzio buono che si percepiva insieme al mio effl uvio. Quella<br />

sconosciuta lo aveva sentito. Quel giorno era chinata come al solito sul computer a lavorare e a<br />

farle compagnia vi era solo del caff è, che usciva strepitoso dal beccuccio della caff ettiera. Gli occhi<br />

le rimasero per un secondo invischiati su una sbavatura data dalla sua schiuma, che, uscendo<br />

violentemente fuori, aveva macchiato l’or<strong>di</strong>ne nel quale Lisa si trovava e fu lì, in quell’istante, che<br />

io passai. Lisa si alzò <strong>di</strong> scatto e iniziò ad annusare l’aria. Non sentiva l’aroma del caff è, sentiva<br />

me. Ebbi paura, tanta paura; mi ritrassi, contraendo il mio verde stelo. Temevo che si arrabbiasse<br />

o che semplicemente, si chiudesse nel suo nido <strong>di</strong> donna, mandandomi come tutti gli altri via;<br />

scacciandomi con una mano, schiacciandomi come una mosca fasti<strong>di</strong>osa. Se fosse successo sarei<br />

rimasto ancora impalato nel vuoto, senza un vero amico con cui parlare.

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