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Terzo concorso Il Volo di Pègaso - Istituto Superiore di Sanità

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Ore 13: a domani!<br />

Paola era piccola. Paola era grassa. Uno spirito <strong>di</strong> cannula fi no ai pie<strong>di</strong>, nu<strong>di</strong> d’erba. Aveva<br />

un’anima <strong>di</strong> bambù. Oppure eucalipto. La campanella suonò. E giù, il consueto tumulto<br />

<strong>di</strong> tracolle e fi bbie. Filippo le s’avvicinò e le <strong>di</strong>sse (al suo fi anco ridevano a bocca chiusa due<br />

inseparabili e amabili compagni dai capelli stoppia al sole): “Cicciona cacasotto. Te puzza er culo<br />

de merda buzzicona”. E molto altro, ma Paola questo fi ssò.<br />

All’uscita la mamma era là. Come sempre le <strong>di</strong>ede un bacio carezzandole la nuca. Negli occhi<br />

un suggerimento <strong>di</strong> riparo, come sempre. E come sempre, uno strano <strong>di</strong>ssimulare con gli altri<br />

genitori, come se Paola non fosse grassa, come se Paola non fosse la più grassa <strong>di</strong> Roma. Come<br />

fosse solo piccola. “Hanno sempre tanto da fare, così piccoli e già senza tempo. Eh vabbé,<br />

arrivederci arrivederci, ciao Rachele, ciaooo”. Ma nella mano c’era sempre la mano <strong>di</strong> Paola, che<br />

è molto sudata, Paola che vede dal basso, e che pensa che la mamma fa così perché non sa che è<br />

stata scoperta, ché ormai tutti sanno che è una cacasotto.<br />

A casa comunque Paola mangia tutto, da brava bambina. E poi va in camera sua. Vorrebbe<br />

dormire ma il cuore la tiene sveglia spingendo le costole, che, come tutte le costole, erano bianche.<br />

Ore 14: le preghiere.<br />

Paola era piccola. Paola era grassa. Uno spirito <strong>di</strong> cannula, fi ccato nel cuore. Un’anima <strong>di</strong> bambù.<br />

Oppure eucalipto. Sul letto Paola guardava il soffi tto. E pregava, così come spiegava suor Liliana.<br />

Pregava <strong>di</strong> morire. Una morte signifi cativa. Una morte che raschiasse via la sciocchezza <strong>di</strong> una<br />

penna nel culo nella memoria della classe. Una morte <strong>di</strong>sumana. O quanto meno <strong>di</strong> farla fi nire<br />

invalida. Una menomazione <strong>di</strong> ossa, <strong>di</strong> ten<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong> organi. Una menomazione interiore, non <strong>di</strong><br />

carne. Né <strong>di</strong> prossimità alla terra. Che una sindrome <strong>di</strong> Turner lievemente contratta peggiora solo<br />

le cose in certe con<strong>di</strong>zioni. Comunque, se si poteva fare andava bene anche un nuovo <strong>di</strong>luvio<br />

che annegasse tutto il mondo un’altra volta. Che sbolli un mondo <strong>di</strong> acqua. E piccole isolette.<br />

Ognuno con la sua isola e la sua tartaruga.<br />

Comunque, le poesie più belle le ha scritte Giacomo Leopar<strong>di</strong>, un poeta molto vecchio, <strong>di</strong> tanto<br />

tempo fa. Un poeta della mamma. Che scrive cose bellissime e ingiuste allo stesso tempo. Per<br />

esempio non era vero per niente che la natura è menefreghista o maligna. Paola legge Leopar<strong>di</strong> e<br />

lo rimprovera. Potrebbe essere una grande critica letteraria, come la mamma? Ma per la mamma<br />

tutto doveva essere stato più facile, poteva pensare a stu<strong>di</strong>are, era bella e non pesava come due<br />

o tre bambini messi insieme. E non puzzava <strong>di</strong> cacca. Paola allora non voleva più pensare che<br />

sarebbe potuta essere una critica, e andava a riprendersi la sua fantasia favorita, <strong>di</strong> quelle che<br />

nascono dal riposino delle tre, dalle guance fresche <strong>di</strong> corse, <strong>di</strong> quelle insomma che nascono dopo<br />

la scoperta dell’odore pomeri<strong>di</strong>ano del dolore: <strong>di</strong>pingere i gusci delle tartarughe.<br />

Ore 15: il patto.<br />

Paola era piccola. Paola era grassa. Uno spirito <strong>di</strong> cannula lungo l’intestino. Un’anima <strong>di</strong> bambù.<br />

Oppure eucalipto. Paola pregava, leggeva Leopar<strong>di</strong> e in un giorno <strong>di</strong> primavera, dopo la scuola,<br />

vendette l’anima al <strong>di</strong>avolo. <strong>Il</strong> segno della croce all’incontrario (suor Liliana le aveva insegnato<br />

una volta che non si doveva sbagliare segnandosi altrimenti avrebbe invocato spiriti cattivi): la<br />

sua anima a ventisette anni sarebbe potuta essere ritirata dal demonio. In cambio, da quel giorno<br />

stesso (per 17 anni! Un’eternità!), la sua vita sarebbe dovuta essere felice e se non felice serena e<br />

sennò almeno normale, o quanto meno, questo era un punto in<strong>di</strong>scutibile del contratto, invisibile.<br />

Paola era piccola. Paola era grassa. Uno spirito <strong>di</strong> cannula al centro dello stagno. Un sistema<br />

faticoso <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuzione. Come quella mappa anatomica appesa nell’aula <strong>di</strong> scienze.<br />

La mamma, uno <strong>di</strong> quei martedì, venne chiamata a scuola: la bambina era stata trovata nella<br />

vecchia sala <strong>di</strong> musica (da tempo ormai solo buio, ottoni e ruggine) in un angolo, sotto un<br />

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