Terzo concorso Il Volo di Pègaso - Istituto Superiore di Sanità
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54<br />
Tentò più volte <strong>di</strong> scappare via, correndo per i corridoi <strong>di</strong> quell’enorme struttura.<br />
Le corremmo <strong>di</strong>etro <strong>di</strong>speratamente. Voleva picchiare tutti quelli che tentavano <strong>di</strong> fermarla e<br />
urlava con tutta la voce che aveva in gola.<br />
Quella non poteva essere mia madre.<br />
Sembrava stesse fuggendo da un martirio troppo grande. Forse, in fondo, per lei era così.<br />
Ma noi volevamo solo farla curare. E farla stare meglio.<br />
Ma lei non capiva. E non riusciva a vedere davvero la realtà. Vedeva solo ciò che voleva vedere.<br />
O che riusciva a concepire. Per lei in quel momento, noi eravamo il male, il tra<strong>di</strong>mento, i pazzi.<br />
Non <strong>di</strong>menticherò mai i suoi occhi pieni <strong>di</strong> rabbia che mi guardavano infuocati e la sua bocca<br />
che ripeteva, inveendomi “Perché mi fai questo? Sei impazzita anche tu?”<br />
Ricordo solo che quel giorno, non riuscii a trattenere le lacrime e mi lasciai abbracciare, consolare,<br />
consigliare, da alcune infermiere <strong>di</strong> cui ora non ricordo nemmeno più il volto.<br />
Riuscimmo a calmarla solo dopo alcune dosi <strong>di</strong> calmante somministrato in vena.<br />
Quel giorno si sarebbe rifi utata <strong>di</strong> assumere ogni tipo <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cinale.<br />
La portarono in una bella stanza, calda e accogliente. Dalle pareti verde acqua.<br />
Lì si addormentò, nel letto che sarebbe dovuto essere il suo. Io mi misi a sedere <strong>di</strong> fi anco a lei su<br />
una se<strong>di</strong>a. La guardavo, stremata dalla fatica mentale e dal tormento che stavo subendo.<br />
C’era una signora nel letto accanto al suo. Aveva novant’anni passati e non si poteva più alzare dal<br />
letto. Però mi guardò sorridendo e mi domandò: “È la tua mamma? Che cos’ha?”<br />
La nonnina era luci<strong>di</strong>ssima <strong>di</strong> testa e questo, un po’, mi fece pure rabbia. Io le risposi sottovoce.<br />
“Ha perso la memoria”.<br />
La vecchietta guardò il vuoto <strong>di</strong> fronte a sé e poi sospirò.<br />
“L’Alzheimer è terribile. Ma anche restare qua a letto consapevole <strong>di</strong> aspettare la morte”.<br />
Poi mi guardò <strong>di</strong> nuovo e mi <strong>di</strong>sse “Come sei carina, quanti anni hai? Sembri una bambina”.<br />
Mi vergognavo quasi a <strong>di</strong>rle la mia età.<br />
Però mi fece tanta tenerezza. Mi alzai dalla se<strong>di</strong>a, piano piano per non svegliare mia madre, e<br />
andai vicino alla signora.<br />
“Ho ventotto anni, signora”<br />
Lei mi prese la mano e la baciò.<br />
Non <strong>di</strong>sse più niente<br />
Passai le ore successive a vegliare la mia mamma, sperando che al suo risveglio, non si ricordasse<br />
più nulla.<br />
La vera soff erenza era e sarebbe stata la mia.<br />
S1/26 La maglia col numero uno<br />
Maurizio ASQUINI<br />
Mio padre voleva a tutti costi farmi <strong>di</strong>ventare qualcuno.<br />
Quando nacqui uscii a fatica; ero talmente grosso che il cuore <strong>di</strong> mamma cessò <strong>di</strong> battere.<br />
Così vissi con papà.<br />
Iniziai la scuola, ma ci rimasi poco. La <strong>di</strong>rettrice chiamò papà per informarlo che non seguivo le<br />
lezioni e che doveva mandarmi all’istituto per “bambini come me”.<br />
Ci sono andato in quella scuola <strong>di</strong> “bambini come me”, e lì imparai a conoscere ciò che mi<br />
<strong>di</strong>cevano attraverso il movimento delle labbra, ma restando nella solitu<strong>di</strong>ne del mio silenzio,<br />
dentro un mondo anch’esso silenzioso: tutto ciò che mi stava attorno era muto e tranquillo e io