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Terzo concorso Il Volo di Pègaso - Istituto Superiore di Sanità

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86<br />

un palla avvelenata e un’altra ad<strong>di</strong>tavano, ridendo rumorosamente, le sue orecchie troppo gran<strong>di</strong>,<br />

la sua testa tanto piccola e quei gran<strong>di</strong> occhiali che portava, posati sul suo naso, poiché così una<br />

malattia <strong>di</strong> cui non ricordava il nome, aveva voluto.<br />

Quin<strong>di</strong>, ben prima <strong>di</strong> muoversi, <strong>di</strong> gironzolare per casa, <strong>di</strong> andare a scuola e giocare con i suoi<br />

fratelli, aveva preso a muovere le sue <strong>di</strong>ta grassocce sui tasti bianchi e neri dello strumento a<br />

corda, aff ogando nell’oblio dell’estasi artistica, le banali litanie dei sa<strong>di</strong>ci ragazzini, che più volte<br />

avevano permesso alle sue lacrime <strong>di</strong> rigare le sue guance.<br />

E quanto gli mancavano quegli ottantotto tasti, mentre, in quel maledetto giorno, stava steso su<br />

una barella nel corridoio dell’ospedale, mentre quegli uomini vestiti <strong>di</strong> bianco, accompagnati da<br />

altri uomini e altre donne, vestiti <strong>di</strong> blu e <strong>di</strong> verde, con gran confusione e intenzione cercavano <strong>di</strong><br />

rime<strong>di</strong>are alla crisi respiratoria che silenziosamente, voleva dar voce alla sua morte.<br />

Qualche istante prima che la vita cominciasse a congedarsi dagli organi vitali del suo organismo,<br />

poco prima che ella si separasse eternamente dal suo cuore, aveva chiesto alla madre, con intimi e<br />

incomprensibili suoni <strong>di</strong> voler ascoltare la sequenza <strong>di</strong> Camille Saint-Saëns per eccellenza.<br />

Così la madre aveva fatto.<br />

E come un musicista, come un pianista, senza alcun rumore, ma circondato dalle note, il ragazzo<br />

morì, mentre le doloranti tonalità della ‘Morte del Cigno’, con grande amore, lo accompagnavano<br />

in un luogo in cui, per fare musica non avrebbe avuto bisogno <strong>di</strong> alcun sostegno, <strong>di</strong> alcuna<br />

mamma o <strong>di</strong> alcun papà che con sforzi estremi lo aiutavano a sedersi per comporre, rimanendo<br />

per intere ore in <strong>di</strong>sparte a guardarlo, sorridendo.<br />

Non avrebbe avuto bisogno neanche <strong>di</strong> alcun pianoforte, <strong>di</strong> alcuno strumento per fare musica,<br />

giacché le sue stesse mani e la sua stessa mente, non prigionieri ormai <strong>di</strong> alcun cromosoma ribelle,<br />

avrebbero musicato perpetuamente.<br />

S1/42 Nella cella con Lou<br />

Amelia CARLUCCI<br />

Se ripenso a tutte le volte in cui ho dovuto fermare le parole, contare fi no a <strong>di</strong>eci milioni,<br />

mordermi la lingua, per rimanere in silenzio, per non vomitare la mia veemenza verbale sul<br />

mondo, mi viene da ridere.<br />

Quel 9 aprile, me l’ero appena presa col mio commercialista, tanto amico, quanto rozzo. Gli<br />

avevo urlato tutta la mia <strong>di</strong>sistima per la sua incompetenza. Senza smettere <strong>di</strong> urlare, mi ero<br />

chiuso la porta del suo uffi cio fragorosamente alle spalle e, un po’ più in là nel corridoio, ero<br />

inciampato sui miei stessi pie<strong>di</strong>, senza apparente motivo. È stato quello solo l’inizio, della mia<br />

impietosa con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> malato. L’immobilità cominciò a coprirmi ogni giorno un po’ <strong>di</strong> più,<br />

avvolgendomi come un manto <strong>di</strong> piombo, per poi stringere, stringere forte, sempre più forte. Mi<br />

resi conto in pochissimo tempo <strong>di</strong> essere fi nito in prigione: senza nemmeno il tempo <strong>di</strong> subire<br />

regolare processo, ero in cella con Lou Gehrig.<br />

Me lo <strong>di</strong>ssero subito, tre anni e mezzo fa, che sarebbe andata così: “indurimento della porzione<br />

laterale del midollo spinale e <strong>di</strong>magrimento muscolare”, recitava il me<strong>di</strong>co, come se <strong>di</strong>cesse a<br />

memoria una formula matematica. In poche parole SLA: Sclerosi Laterale Amiotrofi ca. E, mentre<br />

lui parlava, dentro <strong>di</strong> me pensavo: “Ok, ma perché nessuno mi <strong>di</strong>ce che cosa ho davvero? Che<br />

cosa vuol <strong>di</strong>re avere la SLA?” chiesi esplicitamente. Mi risposero. Tutto vero, tutto verifi cabile!<br />

Solo un attimo dopo, ero inserito nella classifi ca degli eletti, un numero in una statistica, parte<br />

integrante <strong>di</strong> un 5% della popolazione nazionale. Eccomi lì, progressivamente non più libero <strong>di</strong>

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