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Terzo concorso Il Volo di Pègaso - Istituto Superiore di Sanità

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Meri sa accettarsi più <strong>di</strong> molte altre persone che conosco ed è questo un suo gran<strong>di</strong>ssimo merito.<br />

Anziché chiudersi in se stessa, si sforza <strong>di</strong> valorizzare tutte le sfide che le presenta l’esistenza,<br />

trasformandole in occasioni <strong>di</strong> crescita umana, come ha fatto con la Lyell. In tal modo, aiuta<br />

quanti le siamo vicino a non vivere la sua con<strong>di</strong>zione fisica come un limite imbarazzante o un<br />

fardello innominabile e sempre in agguato. È riuscita a collocarlo nella giusta <strong>di</strong>mensione.<br />

Grazie Maria Rita! Tu trasmetti a chi ha la fortuna <strong>di</strong> conoscerti un messaggio molto potente. Ti<br />

considero un vero maestro, perché sei una costante ispirazione ad accettare ed affrontare i miei pesi,<br />

sia quelli esterni che sono inevitabili, sia quelli autoindotti: i numerosi mostri rinchiusi negli arma<strong>di</strong><br />

della mia mente, contro cui vale la pena lottare per vivere la vita con crescente pienezza e solarità.<br />

S1/05 Le due amiche<br />

Giuliana PAURI<br />

Le due donne parlavano tranquillamente in soggiorno sorseggiando un tè al gelsomino. Si erano<br />

casualmente conosciute nell’anticamera del loro neurologo <strong>di</strong> fiducia.<br />

Avevano cominciato a parlare per ingannare il tempo durante le lunghe ore <strong>di</strong> attesa per la visita<br />

<strong>di</strong> controllo ed avevano finito per scoprire che ambedue erano affette dalla stessa malattia la<br />

Sclerosi Multipla, che abitavano relativamente vicino e che avevano qualche anno <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenza.<br />

La loro amicizia aveva finito per coinvolgere anche le loro figlie, che le accompagnavano alle visite<br />

<strong>di</strong> controllo; così in quell’afoso pomeriggio <strong>di</strong> inizio estate mentre Susanna e Margherita, le due<br />

donne malate parlavano sedute in poltrona, le figlie parlavano in cucina della faticosa situazione<br />

in cui si trovavano dovendo occuparsi della propria madre malata.<br />

Qualche sprazzo della loro conversazione, ogni tanto arrivava alle due donne in soggiorno,<br />

che facevano finta <strong>di</strong> non sentire mentre nel loro cuore soffrivano perché erano coscienti<br />

dell’incomodo che davano.<br />

Margherita e Susanna avevano preso l’abitu<strong>di</strong>ne d’incontrarsi una volta al mese a casa dell’una o<br />

dell’altra per cercare <strong>di</strong> parlare, finalmente, con qualcuno che, avendo la stessa malattia, potesse<br />

capirle.<br />

Ambedue, avendo quasi lo stesso carattere, si aiutavano a vicenda, quando una delle due cadeva<br />

in depressione l’altra cercava <strong>di</strong> rincuorarla e soprattutto <strong>di</strong> starla a sentire. Quel pomeriggio<br />

era Margherita ad essere depressa e proprio alle rare parole che arrivavano loro dalla cucina<br />

Margherita iniziò a parlare: – Tra sani e ammalati c’è <strong>di</strong>fferenza, non per <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> salute,<br />

ma proprio per maniera <strong>di</strong> sentire e <strong>di</strong> vivere la vita. Come ammalata vedo la vita come se ciò<br />

che mi accade fosse normale e devo <strong>di</strong>re che da fasti<strong>di</strong>o sentire o meglio percepire quelle note <strong>di</strong><br />

commiserazione nei <strong>di</strong>scorsi dei sani nei nostri confronti.<br />

– Hai proprio ragione, spesso mi chiudo nel mio silenzio, – rispose Susanna.<br />

Margherita continuò: – Come <strong>di</strong>ci tu, l’ammalato finisce per chiudersi nel proprio silenzio pieno<br />

però delle mille voci dei sani ed anche delle proprie.<br />

Come ammalata ho smesso <strong>di</strong> ridere o meglio rido meno perché non è nel mio carattere essere<br />

triste e cupa, spesso mi capita <strong>di</strong> chiudermi nel mio “angolo silenzioso” e pensare a ciò che mi<br />

è capitato, ma i <strong>di</strong>scorsi che faccio sono solo tra me e me, tanto è inutile parlare con i sani, non<br />

potrebbero capire, non perché sono insensibili, quanto perché vivono in un’altra con<strong>di</strong>zione.<br />

I sani non sanno quello che hanno: due mani, due occhi, due gambe, la salute e cosa più<br />

importante sanno che anche un dolore prima o poi finisce. Noi ammalati sappiamo che il dolore<br />

e la malattia che abbiamo non ha un termine e che anzi potrebbe anche peggiorare, sappiamo<br />

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