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numero completo download pdf 396Kb - L'Asino vola

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C’è infine un dettaglio della recita che può essere utile<br />

per andare più a fondo rispetto a queste prime note. Durante<br />

tutta la rappresentazione pare quasi che la Duse conduca,<br />

parallelamente a quello con gli altri personaggi, un gioco<br />

silenzioso ma ben visibile con il suo mantello 53 : unico<br />

elemento rilevante del suo trucco complessivo (la Duse<br />

recitò senza parrucca e senza trucco sul volto), verde e<br />

azzurro come il mare, ingombrante, pesante, che “divenuto<br />

cosa viva: la velava, la rivelava, la proteggeva, talvolta la<br />

imprigionava” 54 ;<br />

A questo mantello o vestaglia, o tunica che sia (per la solenne<br />

circostanza nobilitato con il nome di peplo) fu affidato l’incarico di<br />

ritrarre l’agitazione, la nervosità febbricitante che possiede la sua<br />

padrona [...] non fece che scendere e salire, e chiudersi ed aprirsi con<br />

53 Renato Simoni, a proposito di questo particolare uso simbolico del<br />

mantello, ricorda la famosa recita di Giulietta e Romeo in cui la Duse, nei<br />

primordi della sua carriera, “aveva profumato la tragedia con la grazia<br />

fragile di una rosa, che, tra le sue mani, assumeva, ad ogni atto e ad ogni<br />

frase della passione, un significato nuovo”: R. Simoni, Eleonora Duse al<br />

Manzoni, cit.<br />

54 Ibidem. Non è questa la prima volta che l’attrice recita Ibsen con un<br />

abito che la inguaina e la imprigiona: nella rappresentazione del 1905 di<br />

Hedda Gabler la Duse comparve nel terzo atto “inguainata in una seta<br />

bianca che coi riflessi simboleggiava il gelo del cuore, e portava una<br />

specie di pettorina di scaglie d’argento, quasi a difenderlo con una<br />

corazza da ogni influenza estranea”: G. Boglione, L’arte della Duse, cit.,<br />

p.64. Il passo è citato anche nel saggio di Roberto Alonge, Ibsen l’opera<br />

e la fortuna scenica, Firenze, Le lettere, 1995, pp.106-107. A questo<br />

proposito la Duse, in una lettera indirizzata probabilmente ad Adolfo<br />

Orvieto, scrisse di essersi occupata in prima persona dell’abito e ricorda<br />

in particolare “una grande torsade di trecce, attorcigliate come un<br />

diadema, qualche cosa di ‘regale’ e di ‘prigioniero’, visto che Hedda<br />

ebbe la maledizione de ‘connaître la règle’ - e le trecce tenute a freno<br />

senza un capello in disordine hanno dato (per me) un’apparenza<br />

valevole”: E. Duse, Lettera del 16 maggio 1905, in O. Signorelli,<br />

Eleonora Duse, Roma, Casini, 1955, p.260.

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